Quando si entra nell’antro di una grotta o di una caverna ci si ritrova immersi nel buio. E non si riesce a vedere nulla.
Allora, presi dal panico, non si pensa che a fuggire.
Ciononostante, se uno non avesse quel certo timore dell’oscurità, si accorgerebbe che i nostri occhi finiscono con l’abituarcisi. Laddove all’inizio non si vedeva nulla, cominciano a distinguere delle forme, poi degli oggetti.
Quando si rientra in se stessi si verifica un po’ lo stesso fenomeno.
Nel primo momento, non si riesce a vederci chiaro. E, bisogna ben dirlo, il posto non è più gaio: paure che si credeva fossero sparite, ricordi di errori che ci hanno imbruttito, i rinnegamenti che avevamo dimenticato, ecco ciò che uno riesce a distinguere.
Si avrebbe voglia di fuggire.
Ma le cose fuggite sono cose che imputridiscono e che si trascinano con noi. Impossibile liberarsene senza aver il coraggio di guardarle in faccia.
Perché Dio è anche in se stessi che lo si incontra. “Io ti cercavo al di fuori e tu eri dentro di me”. Io ti cercavo sulle strade del mondo e tu mi aspettavi nel fondo del mio cuore.
Prima di sbucare nella luce di Dio, bisogna osare attraversare le zone delle nostre proprie tenebre.
da Minute oeuménique, Georges Juvet