I nostri anni sono il nostro capitale più prezioso. Ecco perché fa una certa impressione sentire qualcuno dire: “Darei un anno della mia vita per…”. Sì, a volte parliamo così.
Ma ciò per cui, attualmente, siamo più inclini a dare un anno della nostra esistenza è la nostra propria felicità. “Preferisco – diciamo – vivere due o tre anni di meno ma non privarmi di mangiare quello che mi va”. Siamo talmente scontenti della nostra razione di felicità che siamo pronti a raddoppiarne la dose, anche a costo di vivere di meno.
Abbiamo le vene del collo che aumentano di volume, le tempie che battono; siamo rossi, più per lo sforzo per raggiungere la felicità che per il piacere, e abbiamo un senso di inquietudine di non averne mai abbastanza. Ma siamo mal ricompensati: sentiamo la felicità pesante come uno stomaco pieno.
Sulle colline della Galilea, qualcuno propose agli uomini una felicità non per accumulazione ma per epurazione; una felicità che non è il sentirsi ricolmi di tutto ma l’essere felici di un nonnulla; una felicità che non appesantisce i nostri anni ma che li rende leggeri; una felicità leggera e libera portata verso l’infinito dal soffio trasparente delle cose eterne.
Philippe Zeissig da Minute oecuménique