Francesco Zenzale
Un vecchio contadino era in lite con un suo vicino da ben trent’anni a proposito della collocazione di un recinto. A causa di questa disputa nessuno dei due si decideva a riparare il recinto. Sul letto di morte, il vecchietto decise di mettere le cose a posto. Chiamò sua moglie e le disse: “Per favore, dì ad Abner che sto morendo e che desidero parlargli”. Non passò molto che la moglie tornò a casa con il vicino Abner. Il vecchio contadino, tutto tremante, disse: “Abner, tu ed io abbiamo litigato per quel recinto per quasi trent’anni. Ho detto diverse cose piuttosto dure sul tuo conto, e voglio dirti che sono terribilmente dispiaciuto. Desidero ristabilire l’amicizia con te prima che io muoia. Mi perdonerai?”. “Certo che sì – disse Abner, con le lacrime agli occhi – Penso che neanche io abbia detto delle cose tanto belle su di te negli ultimi trent’anni. Sì, credo che sia ora di essere amici”.
Dopo una solenne stretta di mano, l’uomo ammalato puntò il dito verso Abner e gli disse: “Stai attento però, Abner, se io dovessi guarire, dimentica ciò che ti ho detto! La ragione sul recinto è mia!”. Questo aneddoto è raccontato nel libro di Cecil G.Osborn “The Art of Getting Along With People”.
Abbiamo serie difficoltà a riparare un recinto. Offese, ingiustizie, sentimenti negativi e incomprensioni si sovrappongono per anni da tutti e due i lati. Più invecchiamo e più vorremmo riparare quelle brecce, ma la cosa sembra diventare sempre più difficile da realizzare. Tuttavia, riparare il recinto vuol dire ristabilire i rapporti e questo è ciò di cui che la comunità ha maggiormente bisogno. E il perdono è il passo cruciale nel recupero dei rapporti. “Il perdono è l’unico modo che abbiamo a disposizione per rendere più bello questo nostro mondo ingiusto.
È l’inaspettata rivoluzione dell’amore contro un dolore ingiusto; solo il perdono sa offrire vera speranza per la guarigione delle ferite che ingiustamente ci sono state inflitte”, scrive Lewis B. Smedes nel suo libro Forgive and Forget: Healing the Hurts We Don’t Deserve.
Immaginate per un attimo che un serpente velenoso si infili furtivamente nel mio sacco a pelo, in campeggio, e mi morda. Supponiamo ora che, dopo essermi curato la ferita, io vada a cercare il serpente e lo catturi, lo porti a casa e me lo tenga come un animale domestico. Di tanto in tanto lo prendo, ci gioco e mi faccio mordere di nuovo… che cosa pensereste di me?
Però è proprio ciò che fanno alcuni con le “vipere”. Invece di distruggerle, le conservano, ricevendone sempre nuove ferite. Perdonare vuol dire togliersi di torno le “vipere” che continuano a morderci. Smedes continua: “La tua memoria è un replay della tua ferita – una videocassetta dentro la tua anima che riproietta all’infinito quel tuo antico appuntamento con il dolore. Non puoi spegnerlo. Sei preso all’amo esattamente come un tossicomane, un drogato di dolore; diventi dedito – come fosse un vizio – ai ricordi del tuo doloroso passato. È una frustata in più ogni volta che la tua memoria fa partire il nastro registrato… L’unico modo per guarire un dolore che non guarirà da solo è perdonare la persona che ti ha fatto del male. Il perdono ferma la proiezione continua del dolore. Il perdono guarisce la tua memoria, man mano che cambi la prospettiva della stessa. Quando liberi il malfattore dal male, sradichi un tumore maligno dalla tua vita interiore. Rendi la libertà a un prigioniero, tuttavia ti accorgi che il vero prigioniero eri proprio tu”.