Francesco Zenzale
“Com’è scritto: ‘Non c’è nessun giusto, neppure uno’ […] perché tutti hanno peccato e sono privi della gloria di Dio” (Romani 3: 10,23)
Scrive A. Cencini: “Senza meravigliarci né fare troppo gli offesi, convinciamoci subito d’una cosa: noi viviamo uno strano rapporto con il peccato. Un rapporto che forse potremmo definire di amore-odio. Sottilmente – e spesso inconsciamente – da esso attratti-tentati, non vogliamo ammettere la nostra fallibilità e le nostre tendenze, ne siamo come spaventati, e ricorriamo a mille stratagemmi per toglierci di dosso l’impressione di aver sbagliato, quasi fosse un marchio infamante. Lo strano è che tutto questo viene spesso preso come per desiderio autentico di perfezione. Dalle conseguenze non si direbbe. In forza di questo equivoco, infatti, siamo spesso portati a minimizzare il nostro errore, a ridurlo a semplice trasgressione, o a una serie di gesti facilmente identificabili. Ci proclamiamo peccatori, ma non ci sentiamo profondamente tali, soprattutto se ci confrontiamo con gli altri, con i ‘peccatori’ per i quali preghiamo. Oppure al contrario, ci sentiamo come schiacciati dal nostro peccato, incapaci di reagire di fronte a qualcosa che è più grande di noi e distrugge inesorabilmente i nostri sogni di perfezione. Anche in questo caso ci proclamiamo peccatori, ma con profonda delusione e frustrazione, e ci dispiace parecchio che gli altri siano migliori di noi” (Vivere riconciliati, p. 11).
Ciò ci induce a pensare che abbiamo una percezione distorta del peccato che è quella determinata dalla pretesa di cancellarlo del tutto dalla propria vita. Si tratta di una pretesa implicita, mai confessata a se stessi, che affonda le sue radici in un bisogno presente in ogni essere umano, anche se non se ne parla mai: il bisogno di onnipotenza. È un impulso che scatta quando la stima di sé è minacciata dalla constatazione del proprio errore, e allora, quasi in soccorso d’essa, nasce questa pretesa infantile di “cancellare” semplicemente la realtà del male nella propria vita. L’uomo, però, non potrà mai eliminare totalmente il male dalla sua vita. Esso fa parte di noi e della nostra storia. La situazione umana è veramente disperata perché le conseguenze del peccato sono omnipervasive, irreversibili e inevitabili. La natura umana è stata corrotta nel profondo di se stessa ed in essa alberga un’ostilità istintiva verso Dio (Romani 8:7); essa è debole e soffre di un’inclinazione, quasi incosciente, al peccato. Per quanto ci sforziamo di eliminarlo, niente può cancellarlo. Esso riemergerà con la stessa forza, e ancora di più. “Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?” (Romani 7:24).