Francesco Zenzale
“Perché guardi la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello, mentre non scorgi la trave che è nell’occhio tuo? Come puoi dire a tuo fratello: ‘Fratello, lascia che io tolga la pagliuzza che hai nell’occhio’, mentre tu stesso non vedi la trave che è nell’occhio tuo? Ipocrita, togli prima dall’occhio tuo la trave, e allora ci vedrai bene per togliere la pagliuzza che è nell’occhio di tuo fratello” (Luca 6: 41-42).
Li chiamavano whipping boys (letteralmente ragazzi da frustare). Vivevano nelle corti reali del ‘900. Erano stretti accompagnatori del figlio del re, ma avevano anche questo strano incarico: quando il giovane principe commetteva una mancanza erano castigati, a suon di frustate, in vece sua. In tal modo la colpa veniva in qualche modo espiata, l’angoscia della punizione eliminata e la coscienza in ordine.
Cose d’altri tempi, assurde quanto barbare, eppure qualche tempo fa in comunità è successo la stessa cosa. Niente principi e frustate, si capisce, ma la stessa operazione psicologica che spinge inconsciamente una persona che commette un errore o constata un limite, che però non vuole accettare, a trasferire, colpa e pena su un altro. È il vecchio e infantile meccanismo di proiezione. Una forma di non integrazione dei propri limiti e/o del peccato.
“La proiezione costituisce di fatto un modo molto primitivo di liberarsi della propria colpa scaricandola sugli altri. Tutti noi, più o meno, siamo tentati di farne uso almeno qualche volta nella vita. Tale meccanismo è responsabile di molti problemi nella famiglia e nella comunità.
Cosa c’è all’origine di questa proiezione del proprio male sugli altri? Da una parte l’ancestrale paura del proprio peccato, che ci spinge a volte a ignorarlo: accettare di aver peccato ferisce il nostro orgoglio e la nostra illusione di essere migliori degli altri; dall’altra la sensazione di combattere meglio ciò che si pensa che sia fuori della propria persona, che non ci riguarda direttamente e naturalmente lo sia fa ingigantendo il male altrui con la critica, accuse, giudizi di condanna, disprezzo, ecc.” (A. Cencini, Vivere Riconciliati).
E. G. White, commentando il testo introduttivo afferma “si può essere molto bravi nello scoprire i difetti degli altri, ma a tutti coloro che si lasciano prendere la mano da questa tendenza Gesù dice: ‘Ipocrita, togli prima dal tuo occhio la trave, e allora ci vedrai bene per trarre la pagliuzza dall’occhio di tuo fratello’ (Matteo 7:5). Chi è colpevole è il primo a sospettare il male. Nel condannare gli altri cerca di nascondere o scusare il male che c’è nel suo cuore’ Gesù invita colui che accusa a togliere la trave dal proprio occhio, rinunciando allo spirito di censura, confessando e abbandonando il proprio peccato prima di cercare di correggere gli altri. Perché ‘non c’è infatti albero buono che faccia frutto cattivo, né vi è albero cattivo che faccia frutto buono’ (Luca 6:43). Questo spirito di critica a cui ci abbandoniamo è un frutto cattivo e dimostra che l’albero è cattivo. È inutile pensare di poter diventare giusti con le proprie forze, è necessario cambiare il cuore. Questa è l’esperienza attraverso cui dovete passare prima di essere in grado di riprendere gli altri ‘… poiché dall’abbondanza del cuore la bocca parla’ (Matteo 12:34)” (E. G. White, Con Gesù sul monte delle beatitudini).