Francesco Zenzale
“Se uno è convinto dentro di sé di appartenere a Cristo, consideri anche questo dentro di sé: che com’egli è di Cristo, così lo siamo anche noi” (2Corinzi 10:7).
Spesso nella relazione socio-comunitaria si dà poco importanza alla variegata formazione culturale che caratterizza il credente e la comunità. Ciò potrebbe promuovere serie difficoltà d’incontro e di reciproca convivenza. Nella dinamica della riconciliazione, dobbiamo necessariamente tenere conto della differenze culturali che ci caratterizzano come persone. Di fatto, la cultura è data dall’insieme di cognizioni e/o conoscenze intellettuali che una persona ha acquisito attraverso lo studio e l’esperienza. Nozioni che, peraltro, sono rielaborate con un personale e profondo ripensamento, tali da convertirle da semplice erudizione in elemento costitutivo della propria personalità morale, della propria spiritualità, del proprio gusto estetico e, in breve, nella consapevolezza di sé e del proprio mondo. In altre parole, la cultura è il nostro vivere e, pertanto, ha a che fare con le idee, i valori, il modo in cui pensiamo, agiamo, mangiamo, ci vestiamo, ecc. Essa è sorgente di vincoli, di appartenenza, di senso di familiarità, di rassicurante prevedibilità. Essa è il nostro mondo, la nostra vita, l’identità del singolo come di una collettività e costituisce la cornice di un quadro che comprende le convinzioni fondamentali di ognuno sulla vita dell’uomo in generale, sul significato della sofferenza, del valore della istruzione e dell’etica sociale, ecclesiale, spirituale e sull’importanza della famiglia. Ciò significa che la visione che ciascuno di noi ha di Dio, dell’altro, della chiesa, della liturgia, ecc. è una questione che riguarda non necessariamente la volontà di Dio, ma le nostre convinzioni culturali, quindi il nostro credere e il modo come lo si realizza o lo si attualizza.
Al pozzo di Giacobbe, la donna samaritana nel porre la domanda relativa all’adorazione rivela un contesto culturale atavico diverso da quello dei giudei. Per i giudei il credere o il vivere la religiosità si realizzava al tempio, a Gerusalemme, per i samaritani sul monte Gherizim. Chi dei due gruppi etnici aveva ragione? Gesù non dà una risposta liturgica legata alla cultura o a un luogo, ma dà una risposta spirituale, intima, di relazione filiale, in cui Dio è presentano come Padre e gli uni e gli altri sono figli. È su queste basi che è possibile costruire una relazione di rispetto dell’altro. Tu sei figlio o figlia quanto lo sono io. É in virtù di questa adozione ci dichiariamo fratelli e sorelle. Ciò significa che avere una o più convinzioni sulla religiosità, sulla vita in generale e sulla gestione della chiesa, può anche richiedere sacrificio, compromesso, incontro tra due mondi culturalmente diversi, oltre che caratterialmente.
I valori del regno non hanno nulla a che fare con l’uniformità, ma con il rispetto, l’integrazione dell’altro come persona e del suo mondo culturale, l’amore, l’affetto e l’onore, la complicità e la condiscendenza nel trovare soluzioni nello spirito di Cristo. I valori del regno hanno a che fare con “il ti voglio bene” nella diversità che caratterizza la tua come anche la mia vita; il nostro modo di vivere la spiritualità, così diverso ma anche così arricchente per entrambi.