Francesco Zenzale
“Mentre mangiavano, Gesù prese del pane; detta la benedizione, lo spezzò, lo diede loro e disse:’Prendete, questo è il mio corpo’. Poi, preso un calice e rese grazie, lo diede loro, e tutti ne bevvero. Poi Gesù disse: ‘Questo è il mio sangue, il sangue del patto, che è sparso per molti. In verità vi dico che non berrò più del frutto della vigna fino al giorno che lo berrò nuovo nel regno di Dio’” (Marco 14: 22-25 ).
La Cena del Signore è una parte distintiva del culto cristiano. Secondo il Nuovo Testamento Gesù la istituì mentre celebrava la Pasqua insieme con i suoi discepoli, la notte prima della sua morte (Mt 26:26-29; Mc 14:22-25; Lc 22:14-19; 1Co 11:23-25).
I cristiani chiamano questo rito in diversi modi: Eucaristia, Cena del Signore, Comunione.
I cristiani hanno interpretato in modi diversi anche il suo significato. Secondo la dottrina cattolica della transustanziazione, Cristo è fisicamente presente negli elementi. Con le parole del sacerdote “questo è il mio corpo”, l’essenza del pane e del vino si muta in quella del corpo e del sangue di Cristo, sebbene la loro forma esteriore rimanga la stessa. In accordo con questo modo di comprendere, la messa è considerata un sacrificio e la condivisione degli elementi è un mezzo per ricevere grazia.
I luterani e alcune Chiese ortodosse orientali, sostengono la dottrina della consustanziazione. Nel momento in cui il pastore benedice il pane e il vino, il corpo e il sangue di Gesù Cristo si aggiungono a esse, così invece di una sostanza ce ne sono due.
Per i protestanti in genere, Cristo è spiritualmente presente nella celebrazione della Cena del Signore, ma non si identifica con gli elementi usati. La loro condivisione non è concepita come un mezzo per ottenere la grazia divina.
Attenendosi alla Bibbia, non è possibile accettare l’idea della transustanziazione né tanto meno quella della consustanziazione. Invocare le parole “Questo è il mio corpo, questo è il mio sangue” per sostenere l’idea della transustanziazione significa prima di tutto ignorare che, nella lingua aramaica, con la quale sicuramente Gesù si espresse in quella occasione, non si adopera la copula (il verbo essere che lega il nome del predicato al soggetto) e che in ebraico e in greco l’uso di legare l’attributo al soggetto indica – come in Luca 12: 1 e Galati 4: 24 – che si tratta spesso di termini allegorici.
Significa anche dimenticare che Gesù ha detto “Io sono la porta… Io sono la via… lo sono la vite…” (Giovanni 10: 9; 14: 6; 15: 1); che l’apostolo Paolo ha detto di Cristo che è la roccia (1 Corinzi 10: 4); che Dio, nell’Antico Testamento, è chiamato rocca, scudo, sole, ecc. Nessuno ha mai pensato che queste affermazioni fossero altro se non un paragone. Vuol dire anche perdere di vista il fatto che Gesù stesso, costatando che i giudei si erano sbagliati sul significato delle sue parole circa il pane di vita (“Io sono il pane della vita… Se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue…”), li avverte che si tratta di un paragone, che non devono prendere queste parole nel senso letterale e quindi afferma: “É lo spirito che vivifica, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita” (Giovanni 6: 63).
In breve, la dimensione più ovvia della Cena del Signore è quella della memoria. Secondo la tradizione ricordata da Paolo, Gesù disse: “Fate questo in memoria di me” (1 Corinzi 11:23-27).