Una sera, rientrando a casa, dopo una breve visita agli ammalati dell’ospedale di Bracciano, portai a mia moglie della biancheria perché fosse lavata e stirata. Era di un uomo molto anziano, il quale viveva da solo e non aveva nessuno che potesse accudirlo.
La sera successiva, la biancheria di quest’uomo era già lavata e stirata con cura.
Mia moglie, nel sistemarla delicatamente in una borsetta di carta, mi disse: “Fai attenzione quando la tiri fuori dalla busta per metterla nell’armadietto del nonnino, perché potrebbe cadere il rametto di lavanda che ho messo in mezzo alla maglia di lana”.
Veramente un bel gesto disinteressato e pieno d’amore verso un uomo che lei non aveva mai visto e che non avrebbe mai avuto l’occasione di ringraziarla.
Ancora oggi, quel profumo di lavanda mi fa venire la nostalgia di Dio.
Tante donne, che hanno vissuto e vivono tutt’oggi dietro le quinte e nell’anonimato, hanno contribuito notevolmente al successo e all’onore dei propri mariti (Proverbi 31:23).
Caterina Von Bora è la più celebre fra le donne della Riforma, non perché sia stata migliore delle altre, ma perché era la moglie di Lutero. Questi, che non aveva nessuna voglia di sposarsi, se ne giustificava dicendo: “Non perché io sia un sasso, ma perché mi aspetto di morire come un eretico da un giorno all’altro”. Ma si sposò, ne fu felice, ed ebbe a dire: “Non darei la mia Caterina in cambio di tutta la Francia o di Venezia”. Egli chiamava sua moglie: “la stella del mattino di Wittenberg”, perché questa donna si alzava molto presto la mattina: alle quattro d’estate e alle cinque d’inverno. Oltre alla casa (aveva sei figli) riuscì a mandare avanti un albergo e un ospedale. In casa ospitava bambini, studenti, profughi, riformatori che si rifugiavano nel loro convento. Questa donna portava al pascolo gli animali, li mungeva, li macellava, faceva il burro, il formaggio e coltivava il suo orto. Era abilissima in fatto di diete, cataplasmi e massaggi. Suo figlio, futuro medico, la lodava definendola un mezzo dottore.
Un giorno, mentre si stava recando in collegio, i cavalli s’imbizzarrirono su una strada sconnessa, lei fece un balzo per prendere le redini di lato, ma cadde e finì in un fosso colmo d’acqua gelata. Morì il 20.12.1550 a cinquantun anni. Le sue ultime parole furono: “Starò sempre unita a Gesù come un fiore di lappola si attacca alle vesti”.
Follerau, percorse più di due milioni di chilometri e, a proposito della moglie, scrisse: “Non feci alcun viaggio senza di lei. Mi ha accompagnato in tutti i lebbrosari del mondo. è stato il mio sostegno, sempre. E ne ha passati di guai, povera cara!”.
In Proverbi 31, troviamo scritto: “Il cuore del suo marito confida in lei… ed ella gli fa del bene, e non del male, tutti i giorni della sua vita”.
Auguri, donna, dolce compagna di viaggio!
Giovanni Negro