Francesco Zenzale
Dice il Signore: “Quando Israele era fanciullo io l’amai e, fin dall’Egitto, chiamai il mio figliolo. Egli è stato chiamato, ma s’è allontanato da chi lo chiamava; hanno sacrificato ai Baali, hanno offerto profumi a immagini scolpite! Son io che insegnai ad Efraim a camminare, sorreggendolo per le braccia; ma essi non hanno riconosciuto ch’io cercavo di guarirli. Io li attiravo con corde umane, con legami d’amore; ero per loro come chi sollevasse il giogo d’in su le loro mascelle, e porgevo loro dolcemente da mangiare” (Osea 11:1-4).
Che dolorosa illustrazione del nostro Genitore in cielo! Che illustrazione d’amore, di misericordia, di tenerezza e grazia!
“Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità”. (1Giovanni 1:9).
Confessare a Dio il proprio errore vuol dire sperimentare l’abbondanza del suo perdono e sentirsi riconciliati con il Dio della croce pieno d’amore. Tale esperienza di misericordia genera in noi una corrispondente attitudine di misericordia.
Una misericordia sovrabbondante, generosa che va regolarmente oltre l’entità della colpa e non s’accontenta di ristabilire in qualche modo il rapporto,di ridare il saluto, di non rifiutarsi all’altro, ma è gesto positivo d’incontro, d’accoglienza, di cordialità, è un cercare volutamente lo scambio e lo stare insieme, è esser disponibili a ripetere il perdono fino a 70 volte 7, senza vergognarsi di passare da fessi ne atteggiarsi da eroi.
Questa misericordia, infatti, è amore che va oltre la giustizia, e si giustifica e può essere capita e messa in pratica solo se contiene e manifesta amore. Il perdono senza amore, se mai è possibile, è non-perdono. L’uomo misericordioso salva e redime solo in quanto ama: vuole il bene dell’altro e si rattrista sinceramente per il suo male, sente il dovere di fare qualcosa per lui perché la sua salvezza gli preme. Non c’è più solo la motivazione dell’utilità o dell’importanza del rapporto, ma quella più nobile e vera del sentirsi responsabile dell’altro.
Questo amore è un forza potente, più grande del peccato. Di fronte al male non s’arrende, perché è sempre capace di riscoprire il bene o di salvare l’intenzione, di ridare speranza o d’invitare ancora a camminare assieme. Anche quando l’altro sembra disinteressarsi di questa benevolenza o è intestardito nella sua ostilità. Per perdonare non occorre essere in due. Basta un atto di amore.
Un giorno una donna si avvicinò all’Imperatore Napoleone con una richiesta: “Vi prego, perdonate mio figlio”. “No! – rispose Napoleone – Questo è il secondo reato di vostro figlio. La giustizia richiede la sua morte”. “Non chiedo giustizia – la madre supplicò – Chiedo misericordia”. “Per il reato che ha commesso, non si merita misericordia”, rispose Napoleone.
“Se infatti se la meritasse non sarebbe più misericordia! – ella disse – Misericordia è tutto ciò che chiedo”. Commosso dalla semplice supplica della madre, l’imperatore dichiarò: “Beh… concedo la grazia. Vostro figlio è perdonato” (H.M.S. Richards, “The Promises of God”).