Francesco Zenzale
La Pasqua (in ebraico Pesah) significa passaggio ed è una festa primaverile che ricorre, secondo l’indicazione biblica, il 15 di Nisan dopo un digiuno di sette giorni in Israele, e otto nella diaspora. La festa ricorda l’esodo dall’Egitto (Esodo 34:25). Era chiamata in due modi: hag ha-Pesah (festa di Pasqua) perché Dio passò e protesse le case dei figli d’Israele (Esodo 12:23); e hag ha-Mazzot (festa degli Azzimi) perché non si mangiava pane senza lievito (Esodo 23:15; Levitico 23:6; Deuteronomio 16:16). La sera del 14 di Nisan veniva immolato l’agnello pasquale, arrostito per intero e consumato in famiglia. Il seder (ordine) della Pasqua è basato sulla responsabilità dei genitori nel trasmettere ai propri figli le ragioni della festa: “In quel giorno tu spiegherai questo a tuo figlio, dicendo: ‘Si fa così a motivo di quello che il Signore fece per me quando uscii dall’Egitto’” (Esodo 13:8).
Nel suo significato sociale, indica un cambiamento da una condizione a un’altra. Dalla schiavitù implicante una dipendenza totalitaria, quella egiziana, alla liberazione. Nel suo significato psicologico, indica un cambiamento di mentalità, del modo di pensare in rapporto a Dio, a se stessi, al prossimo e alla vita in generale. Pasqua è dunque un “passare oltre” o un “andare oltre” la visione che si ha di se stessi, del prossimo e della vita. Liberarsi dai tabù, dagli handicap psicologici e librarsi verso una nuova vita. Pasqua è un risorgere a nuova vita.
Nel suo significato spirituale, indica un cambiamento religioso, un passaggio implicante un atto di adorazione rivolto a Dio. Pasqua è trascendere se stesso e dare un senso alla vita a partire da Cristo il risorto. Tutti questi aspetti legati alla Pasqua li troviamo nel rito della santa Cena, perché secondo l’apostolo Paolo “la nostra Pasqua è Cristo (1 Corinzi 5:7-8).
Nella medesima lettera l’apostolo scrive che, celebrando la santa Cena, il credente rievoca da una parte l’esperienza della salvezza, cioè un richiamo a un fatto storico, salvifico, liberatorio e cruento: la morte di Cristo. Dall’altra, volge lo sguardo verso il futuro: la beata speranza del ritorno di Cristo (Matteo 26:29). Paolo conclude il suo riassunto della Cena del Signore con l’affermazione: “Perché ogni volta che voi mangiate questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga” (1 Corinzi 11:26; cfr. vv 23-27).
La Cena del Signore ci ricorda la gioia della comunione personale con Cristo che ci attende quando il regno di Dio sarà pienamente stabilito. Esso intensifica il nostro desiderio di vivere questa esperienza. Risveglia anche il senso di dipendenza da Gesù qui e ora. Il simbolismo del servizio di comunione fa pensare al fatto che dipendiamo da Cristo, per la vita spirituale, così come dipendiamo dal cibo e dalla bevanda, per quella fisica. Mangiare e bere durante la Cena del Signore, ci rende vivamente coscienti di ciò. Ci aiuta a comprendere l’importanza di un rapporto profondo e costante con Gesù.