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Pensaci. Le carezze

Notizie Avventiste/Francesco Zenzale
Scrive l’apostolo Paolo: “Quanto all’amore fraterno, siate pieni di affetto gli uni per gli altri. Quanto all’onore, fate a gara nel rendervelo reciprocamente […] Non abbiate altro debito con nessuno, se non di amarvi gli uni gli altri; perché chi ama il prossimo ha adempiuto la legge” (Romani 12:10; 13:8).
Le carezze costituiscono, per l’individuo, la coppia, la famiglia e la comunità, il nutrimento indispensabile per vivere insieme piacevolmente, gradevolmente e se vogliamo simpaticamente (Salmo 133: 1-3). Secondo la Parola di Dio esse inebriano la relazione, la addolciscono e trasmettono affetto (Proverbi 5:19; Cantico dei Cantici 1:2; 4:10; ) e riconoscimento.
Scriveva l’autrice E. G. White: “Molti considerano l’espressione del loro affetto come una debolezza e mantengono una riservatezza che li allontana dai loro simili. Questo modo di agire impedisce alla simpatia di manifestarsi. Quando si reprimono i propri slanci di affetto e rispetto, si diventa insensibili, e il cuore diventa arido e freddo. Facciamo attenzione a non compiere questo errore. L’amore che non si esprime si affievolisce. Non lasciate soffrire un cuore unito al vostro trascurando di dimostrargli bontà e affetto”.
Diversi studi (René Spitz, John Bowlby) hanno dimostrato quanto la mancanza di carezze può indurre un bambino ad attraversare vari stadi di deperimento, passività, sensibilità alle malattie, insonnia, perdita di peso, ritardo motorio, rigidità dell’espressione del viso, scatti di aggressività fisica anche verso se stessi. René Spitz riporta che su 90 bambini osservati, 34 dopo due anni erano morti. “Essere preso in braccio, cullato e toccato, sentire parlare, poter esplorare col proprio corpo l’ambiente, è per il bambino un nutrimento indispensabile al pari del soddisfacimento della sua fame di cibo”, egli scrive. Ogni età della crescita ha bisogno di un suo particolare e diverso bisogno di nutrirsi di carezze. La “carezza” è un gesto mediante il quale riconosciamo l’altro così com’è, offrendogli il permesso di esistere, di interagire, di trasmettere il suo pensiero e di sentire che essere diverso arricchisce e non impoverisce. È un gesto di riconoscimento dell’altro in quanto persona diversa da me; un invito a conoscersi e a conoscersi con senso di responsabilità.