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Pensaci. La pulce di Dio

Notizie Avventiste/Francesco Zenzale
La Bibbia lo definisce il “dolce cantore di Dio” (2Samuele 23:1). La sua storia è avvincente e lo si ricorda, in modo particolare, per la vittoria sul gigante Golia e l’amicizia con Gionathan, figlio del re Saul. È un personaggio che ha fortemente impressionato Michelangelo: biondo, alto e robusto, ma pastore. La sua apparizione sul palcoscenico biblico inizia proprio come pastore di pecore. Mestiere questo che a quel tempo forse non creava problemi, oggi invece alla figura del pastore è spesso associata l’ignoranza, un odore nauseante e un comportamento piuttosto solitario e rozzo. Ciò che di Davide maggiormente attira la mia attenzione è il senso di inadeguatezza, il sentirsi rifiutato e poco apprezzato e, naturalmente, il modo in cui supera questi handicap psicologici. Davide era l’ultimo di sette fratelli, quello che spesso era messo da parte, che non aveva voce in capitolo, che non prendeva parte all’amministrazione della famiglia come gli altri fratelli che avevano potere decisionale. Spesso lo censuravano come un buono a nulla, come uno che non poteva capire certe cose dei grandi! Il suo nomignolo era pulce. Quando Samuele, su ispirazione di Dio, andò trovare la famiglia di Isai per ungere re uno dei suoi figli, Davide era il grande assente, il grande emarginato. Isai e sua moglie, in vista di un evento così importante, si dimenticarono addirittura del figlio più piccolo, il quale, secondo il loro modo di pensare, non possedeva le caratteristiche per diventare re (1Samuele 16). Il disprezzo manifestato dal padre e dai fratelli segna Davide e gli crea profondi complessi. Ad esempio, quando il re Saul gli dà la figlia Micael in sposa Davide risponde: “Chi sono io, che cos’è la mia vita, e che cos’è la famiglia di mio padre in Israele, perché io diventi genero del re?” (1Samuele 18:18). Quando è perseguitato ingiustamente da Saul, egli risponde: “Contro chi è uscito il re d’Israele? Chi vai tu perseguitando? Un cane morto, una pulce” (1Samuele 24:15; cfr. 26:20). Ciò significa che nonostante la vittoria sul gigante Golia, le vittorie sui Filistei e l’omaggio del popolo, malgrado fosse bello, slanciato e biondo, la comprensione che egli aveva di se stesso era quella di una persona “piccola”, insignificante. Ma Dio, che vede oltre, rispetto alla famiglia, coglie in lui un re. Fu nella comprensione del valore che aveva agli occhi di Dio che Davide trovò la cura per i suoi complessi d’inferiorità e delle sue ombre. Davide comprende che Dio lo ama e gli dà la gioia di essere persona, un essere all’immagine di Dio. Più tardi scrive: “Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene. Le mie ossa non ti erano nascoste, quando fui formato in segreto e intessuto nelle profondità della terra. I tuoi occhi videro la massa informe del mio corpo e nel tuo libro erano tutti scritti i giorni che mi erano destinati, quando nessuno d’essi era sorto ancora” (Salmo 139:14-16).

Quante sono le persone che si sentono rifiutate, emarginate, censurate, non amate, non prese in considerazione? Quanti sono coloro che pensano di essere delle nullità? Che si sentono profondamente sole?