Francesco Zenzale
Il Salmo 51, un salmo penitenziale, fu composto da Davide dopo il suo grande peccato con Betsabea, per colpa del quale si rese colpevole, tra altre cose, di adulterio e di assassinio. Fu scritto nell’angoscia e con un senso di grande disgusto per se stesso. La potenza dello Spirito di Dio aveva toccato il cuore del peccatore. Anche se il pentimento non ha in sé alcun merito, esso è tutto quello che possiamo portare a Dio; rappresenta la consapevolezza, da parte dell’uomo, di non avere nulla da offrirgli. Cioè, non vi sono opere che possiamo presentare a Dio come mezzo per salvare noi stessi. Tutto quello che possiamo fare è riconoscere i nostri peccati e chiedere perdono. Questo è il pentimento. Senza di esso, Dio non può fare niente per salvarci. La pena per la nostra colpa è già stata pagata, ma il pentimento dimostra che abbiamo compreso la nostra profonda incapacità e il bisogno di essere salvati da Dio. Il pentimento è l’ammissione da parte dei peccatori di avere bisogno di Dio. Il vero pentimento esprime l’accettazione della salvezza solo per fede. Che cosa può ostacolare il pentimento? Il peccato originale non consistette in un adulterio o nella concupiscenza, ma nell’autoesaltazione e nell’orgoglio. Esso rimane ancora oggi uno dei peccati più pericolosi perché, diversamente da molti altri, è socialmente accettabile. Nel contesto della riflessione, perché l’orgoglio e l’autoesaltazione sono così pericolosi? Per una persona orgogliosa e piena di autosufficienza è facile provare un vero pentimento? “Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti” (Atti 17:30, 31).