Francesco Zenzale
Ci piacerebbe entrare dalla “porta dell’amore”; ma come possiamo sapere se il nostro amore è abbastanza profondo per guidarci a una unione che duri tutta la vita, a una fedeltà assoluta? Come possiamo essere sicuri che il nostro amore sia abbastanza maturo da pronunciare i voti matrimoniali nella consapevolezza di stare assieme tutta la vita, “fino a che morte non ci separi”? L’insicurezza, da tempo, ha invaso la sfera dei sentimenti e i giovani, sempre più, decidono di fare scelte “prova” per capire se “funziona”; se la persona amata è il partner giusto con il quale approdare al matrimonio, con la certezza di proseguire nel tempo.
Secondo uno studio sociologico della Ohio State University, il 40 per cento della coppie che convivono, prese in esame, erano convolate a giuste nozze dopo 4-7 anni, mentre il 42 per cento aveva messo fine alla relazione. Una delle autrici della ricerca, Sharon Sassler, ha così commentato i risultati: “La nostra ricerca dimostra che vivere insieme non è necessariamente un periodo di transizione che porta al matrimonio. Per un crescente numero di coppie la convivenza è un’alternativa al vincolo tradizionale oppure alla condizione di single. Sembra che molte coppie vivano insieme più a lungo senza sposarsi. E quindi i risultati ci suggeriscono che le coppie che utilizzano la convivenza per conoscersi meglio, per valutare la compatibilità, hanno di gran lunga minori probabilità di sposarsi. Invece una strategia vincente per andare all’altare è stata individuata nel definire una data precisa, anche se lontana, per le nozze”.
Un altro dato interessate che emerge è che spesso le donne desiderano sposarsi, ma non hanno il coraggio di dirlo perché terrorizzate dalla reazione-fuga del compagno. Non è una paura ingiustificata la loro, perché due ragazzi su tre dichiarano di aver vissuto un’esperienza del genere, e il fatto che non abbiano la fede al dito dice molto.
Il matrimonio richiede una scelta precisa, un impegno importante che coinvolge la società e le istituzioni religiose e civili. Scrive Vittorino Andreoli: “Sono profondamente convinto che il matrimonio non sia un contratto ordinario, non riguardi la scambio di cose, l’acquisto di un immobile, ma il vincolo tra due persone che ha come prospettiva di generare ed educare dei figli. Un contratto che va rivestito di sacralità… perché al suo interno ammette il mistero della vita”.