Notizie Avventiste/Francesco Zenzale
Cos’è che ci rende felici? Sin dagli albori dell’umanità l’uomo va alla ricerca di sicurezza e di felicità, più che di un credo. Persone famose nell’ambito dello spettacolo, del cinema, della moda, dell’alta finanza, che possono permettersi un tenore di vita elevato confessano di non essere felici. Alcune arrivano all’atto estremo del suicidio.
Cos’è che ci rende felici? Ancora non molto tempo fa gli esperti di fama credevano che fosse il proprio piacere. “In psicologia si devono eliminare le costrizioni che inibiscono il piacere”, diceva Wilhelm Reich, uno dei molti sostenitori di questa tesi. Gli sviluppi degli ultimi decenni hanno però dimostrato che questa egocentricità a ogni costo non solo riduce il livello spirituale del singolo, ma distrugge soprattutto la famiglia e lo stesso individuo.
Che cosa ci rende gioiosi? Il palcoscenico dove si è disposti a fare quello che gli altri vogliono o scegliere di essere se stessi? Nel primo caso, il metro è l’applausometro, nell’altro, il rispetto di se stessi, ed è il più difficile. Conosco persone gioiose che non hanno mai ottenuto un applauso, che, nella grazia di Dio, il mattino, guardandosi allo specchio, accennano a un sorriso o a un gesto di gratitudine a Colui che è il datore della vita. “Altre invece, per amore dell’apparire, centrate su se stesse, corrono subito a truccarsi. Non sanno stare senza gli altri, devono avere il chiasso dell’approvazione sempre attorno: quando sono in auto da sole, arrivano ad azionare anche due telefonini contemporaneamente pur di trovarsi con i loro fans. La nostra è la società del successo, dell’esistere per gli altri e come gli altri desiderano: dei perfetti burattini. Un successo misurato dal denaro: tanto maggiore è il successo, tanto più alto è il compenso, più grande l’auto e più lunga la barca già ormeggiata in un porticciolo o dentro la testa, nella sezione del desiderio. Questo è anche il programma di molti giovani e di molti genitori: tentare la fortuna che conduca al successo” (V. Andreoli, Avvenire).
La felicità che dà valore alla vita non ha nulla a che fare con gli stimolanti che intorpidiscono i sensi e la coscienza morale, o con le circostanze più o meno accettabili della vita. La felicità non è un oggetto che possiamo acquistare come se fosse un elettrodomestico, né tanto meno è relegabile ad una persona: l’essere umano è fragile e come tale deludente, inganna se stesso e gli altri.
La felicità, quella che ci permette di stare bene con noi stessi, che ci aiuta a superare gli eventi dolorosi e più amari, che rimane anche quando tutto va male e che sorride attraverso le lacrime, è ben diversa da quella che gli uomini hanno o presumono di avere. Scrive il salmista: “In verità l’anima mia è calma e tranquilla. Come un bimbo divezzato sul seno di sua madre, così è tranquilla in me l’anima mia” (Salmo 131:2).