Francesco Zenzale
Pietro e Giuda peccarono consapevolmente. Giuda riconobbe: “Ho peccato, consegnandovi sangue innocente” (Matteo 27:4). Pietro, “andato fuori, pianse amaramente” (Luca 22:62). La Scrittura è chiara sulle caratteristiche negative di Giuda. Per quel che si può vedere, il suo pentimento non fu sincero (Matteo 27:3). Egli si rese complice di uomini malvagi per tradire Gesù, sapendo quello che faceva, con premeditazione (Marco 14:45; Giovanni 18:2,3). Ci possiamo così rendere conto del perché il tradimento commesso da Giuda sia stato così diverso dal rinnegamento messo in atto da Pietro. Infatti, in Matteo 26:35 leggiamo: “Quand’anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò”. Che differenza possiamo notare tra quello che Giuda e Pietro fecero a Cristo? È ovvio che Pietro non intendeva affatto rinnegare Gesù. Egli agì d’istinto, spinto da un momento di paura. La Scrittura fa invece vedere come Giuda agisse con premeditazione. In altri termini, anche se entrambi sbagliarono, rivelando debolezze di carattere, e abbandonarono il loro Signore, uno lo fece con premeditazione, l’altro agì a causa di una debolezza momentanea. Come Giuda, anche Pietro manifestò qualche caratteristica negativa. Era pronto a maledire (Matteo 26:74), aveva delle tendenze violente (Giovanni 18:10) e agì anche da vigliacco (Luca 22:57). Era troppo sicuro di sé, troppo convinto della sua lealtà verso Gesù. E tuttavia, quando dovette affrontare la sua prima prova, fallì miseramente. “O Signore […] Fa’ ch’io sappia quanto sono fragile” (Salmo 39:4). La percezione della nostra fragilità,che spesso è caratterizzata dalla paura, ci conduce verso Cristo nel modo adeguato; ed egli nel suo amore ci aiuta a sanare la paura. In questo processo di scambio di esilità e amore, la fragilità si colora di forza, vive e si fa storia.