Francesco Zenzale
“A Dio piacendo…”; o “Se piace a Dio…”. Questo modo di esprimersi dà l’idea che tutto dipende da Dio, anche la nostra vita e, parafrasando l’espressione, potremmo anche dire: “se Dio si compiace di non togliermi la vita…”. Abbiamo già evidenziato quanto Dio ci ami e che non è per nulla intenzionato a toglierci la vita; vivere costituisce lo spazio di tempo in cui Dio si rivela all’uomo offrendogli la vita eterna, pertanto se dovesse toglierci la vita impedirebbe ogni possibile rivelazione di se stesso. Il Dio della Bibbia è il Dio dei viventi e non dei morti (Marco 12:27).
Un altro aspetto da evidenziare riguarda il nostro rapporto con Dio. Questa locuzione dà l’idea che la nostra vita sia qualificata da un atto di abbandono a Dio, che siamo delle persone che vivono consapevolmente all’ombra dell’Onnipotente. Nella realtà la consapevolezza della presenza di Dio nel quotidiano è alquanto limitata e compulsiva. Perfino in preghiera, siamo alle prese con dei pensieri devianti, soprattutto quando c’è qualcosa che ci assilla, quando andiamo di corsa o siamo in procinto di soddisfare un desiderio dubbioso o corretto che sia, ecc. Dio c’è, ma non c’è, nel senso che viviamo come se non esistesse, eppure diciamo «A Dio piacendo».
Delle volte questo equivoco può nascondere le nostre vere intenzioni nei confronti dell’altro, nel senso che in fondo non è poi così piacevole incontrarti domani o in chiesa, ecc.
Inoltre non è saggio pronunciare il nome di Dio senza il dovuto significato e con leggerezza. Che cosa vogliamo sostenere con questa affermazione? Che se una cosa piace a Dio è possibile altrimenti no? Ma è proprio vero che Dio possa essere arbitro nelle nostre scelte di vita in questi termini: piace o non piace, tale da definire o limitare la nostra volontà? Credo proprio di no! La saggezza s’addice all’umile, l’equivoco al presuntuoso.