Francesco Zenzale
“Voi, per questa stessa ragione, mettendoci da parte vostra ogni impegno, aggiungete alla vostra fede la virtù; alla virtù la conoscenza; alla conoscenza l’autocontrollo; all’autocontrollo la pazienza; alla pazienza la pietà; alla pietà l’affetto fraterno; e all’affetto fraterno l’amore. Perché se queste cose si trovano e abbondano in voi, non vi renderanno né pigri, né sterili nella conoscenza del nostro Signore Gesù Cristo” (2 Pietro 1:5-8).
Nel libro “Sulle orme del Gran Medico”, E. G. White scriveva: “Molti considerano l’espressione del loro affetto come una debolezza e mantengono una riservatezza che li allontana dai loro simili. Questo modo di agire impedisce alla simpatia di manifestarsi. Quando si reprimono i propri slanci di affetto e rispetto, si diventa insensibili, e il cuore diventa arido e freddo. Facciamo attenzione a non compiere questo errore. L’amore che non si esprime si affievolisce. Non lasciate soffrire un cuore unito al vostro trascurando di dimostrargli bontà e affetto”.
Sono stati fatti diversi studi (René Spitz; John Bowlby) che hanno dimostrato quanto il mancato nutrimento di carezze può indurre un bambino ad attraversare vari stadi di deperimento, passività, sensibilità alle malattie, insonnia, perdita di peso, ritardo motorio, rigidità dell’espressione del viso, scatti di aggressività fisica anche verso se stessi. René Spitz riporta che su 90 bambini osservati, il 37 per cento dopo due anni erano morti, ovvero 34 bambini su 90. “Essere preso in braccio, cullato e toccato, sentire parlare, poter esplorare col proprio corpo l’ambiente, è per il bambino un nutrimento indispensabile al pari del soddisfacimento della sua fame di cibo. Noi comunichiamo con chi amiamo attraverso le carezze: carezze materne, paterne, di approvazione, carezze con cui si esprime il proprio consenso, con cui si esprime l’amicizia e l’amore. Con cui si dà e si riceve piacere. Dal momento della nascita, quando il bambino lascia l’utero materno, è rassicurato dal contatto fisico con la madre da cui è totalmente dipendente. Ogni età della crescita ha bisogno di un suo particolare e diverso bisogno di nutrirsi di carezze. Esse costituiscono, per l’individuo, la coppia, la famiglia e la comunità, il nutrimento indispensabile per vivere insieme piacevolmente, gradevolmente e se vogliamo simpaticamente.
Secondo la Parola di Dio le carezze inebriano la relazione, la addolciscono e trasmettono affetto (Prov. 5:19; Cantico 1:2; 4:10; ) e riconoscimento. Pertanto, ‘parlare di carezze significa parlare di riconoscimento. Riconoscimento di sé e riconoscimento dell’altro; e poi ancora riconoscimento di sé attraverso il riconoscimento dell’altro. È carezza tutto ciò che, riconoscendo l’esistenza di un altro essere umano, comporta una comunicazione con la valenza affettiva’”.
La “carezza” è un gesto mediante il quale riconosciamo l’altro così com’è (ricco-povero; fragile-forte; laureato-operaio; asiatico-italiano, ecc.), offrendogli il diritto di vivere, di trasmettere il suo pensiero e di sentire che essere diverso arricchisce e non impoverisce. È gesto di riconoscimento dell’altro in quanto persona diversa da me; un invito a conoscermi e a conoscersi con senso di responsabilità.