Francesco Zenzale
“Ma io vi dico: amate i vostri nemici… egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Matteo 5:44,45).
Ricorrendo alla terminologia musicale, possiamo paragonare il discorso della montagna di Gesù alla magistrale quinta sinfonia di Beethoven, che fin dalle prime battute, senza preparazione di sorta e con l’attacco simultaneo di tutti gli strumenti, enuncia con assoluta precisione i suoi temi fondamentali. E inaspettati, i più insoliti mai uditi, totalmente diversi da qualunque altra cosa sia stata mai detta.
Fino al discorso della montagna, tutte le orchestre dell’uomo, nonostante le variazioni, avevano proclamato all’unisono che per l’uomo la beatitudine consisteva nella felicità caratterizzata dall’abbondanza, dal piacere personale, dall’onore prodotto dalla stima altrui o dall’applausometro. Al contrario, fin dalle battute iniziali del primo atto, Gesù annuncia che per l’uomo la felicità, capace di farlo star bene con se stesso, di superare gli eventi dolorosi e più amari, latente anche quando tutto va male, è ben diversa da quella fin lì presunta. La felicità consiste nella consapevolezza di essere bisognosi di Dio più che del pane quotidiano, nel sapere che la giustizia umana è inadempiente ma troverà il suo compimento nel regno di Dio.
“Ma io vi dico: amate i vostri nemici, [benedite coloro che vi maledicono, fate del bene a quelli che vi odiano] e pregate per quelli [che vi maltrattano e] che vi perseguitano, affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli; poiché egli fa levare il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti” (Mt 5:44-45).
L’ascoltatore della sinfonia impallidisce all’enunciazione di tali tematiche. Infatti, l’amore non è soltanto contrapposto all’odio ma anche al tipo di amore che non abbraccia tutti gli uomini. Il senso dell’antitesi in rapporto ai versetti illustrativi (45-47) non è amate i vostri nemici anziché odiarli, bensì: amate sia i vostri amici sia i vostri nemici. Nella Didaché (Parte 1, “Le due vie” 3:1) al comandamento di Gesù “amate i vostri nemici” è stato aggiunto: “e non avrete più nemici”.
L’amore è un’offerta di vita rivolta a tutti: amici e nemici. Il Dio di Gesù non è buono, è esclusivamente buono, non guarda i meriti delle persone ma i loro bisogni. Non premia i giusti e castiga i malvagi ma a tutti offre il suo amore. Una sinfonia impavida nella quale l’etica testimoniata da Gesù non ha nulla a che fare con quella di Kant, “un’etica formale del dovere”, o di Max Scheler, che propone “un’etica materiale dei valori”. Gesù non stabilisce graduatorie o gerarchie di valori che andrebbero dai livelli più bassi (valori materiali e vitali) a quelli più alti (morali e religiosi).
Gesù non è stato un maestro di morale. La sua predicazione e il suo stile di vita testimoniano di un avvenimento imminente, esaltante ma anche intimidatorio, decisivo comunque per la vita di tutti: l’annuncio del regno di Dio. “Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: ‘Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino’”, (Mt 4: 17).
Un regno dove è possibile, nel presente, cogliere “il valore dell’intenzione più che del gesto formale; il primato dell’amore del prossimo più che delle pratiche rituali; la vicinanza agli ultimi perché poveri o perché peccatori; il rispetto per la libertà di coscienza individuale; il rifiuto delle convenzioni sociali, sia religiose che civili; l’avversione o il distacco nei confronti delle ricchezze materiali; la non-violenza o tolleranza come risposta alla violenza; la fraternità universale al di là delle divisioni di classe o di etnia; la franchezza coraggiosa di fronte a chi occupa posizioni di potere (sacerdoti, scribi, sinedrio, procuratore romano); la semplificazione di tutte le leggi morali al duplice comandamento dell’amore di Dio e del prossimo” (da un articolo di Arturo Paoli, predicatore in Vaticano, nov. 1994).