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In ricordo di…

Francesco Zenzale
“E udii una voce dal cielo che diceva: ‘Scrivi: beati i morti che da ora innanzi muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, essi si riposano dalle loro fatiche perché le loro opere li seguono’” (Apocalisse 14:13).

Le festività dei prossimi questi giorni richiamano alla nostra mente i nostri cari defunti e, benché io non creda nell’immortalità dell’anima, trovo sia significativo e valorizzante recuperare nei ricordi le nostre radici.
Sarebbe per me impossibile, ad esempio, non pensare alla mia cara nonna “Chicca” – così si faceva chiamare – tanto dolce e premurosa. Tutte le volte che andavo a trovarla, immancabilmente mi offriva 5 lire per comprarmi il gelato. Ero sempre piacevolmente avvolto, nel suo immenso giardino di arance e mandarini, da quel ben di Dio dal profumo e dal sapore paradisiaco. La circostanza della sua morte è rimasta a lungo impressa nella mia mente: è morta per infarto, accasciandosi lungo la strada, mentre stava andando al cimitero.
Sono i miei genitori, comunque, le persone più care, alle quali devo la vita e che hanno plasmato profondamente il mio carattere. Nel mio cuore ci sono, indubbiamente, le tracce degli insegnamenti tramessi tramite una vita modesta, caratterizzata, soprattutto, dall’onestà nel lavoro. Ricordo con commozione un periodo particolare della mia fanciullezza segnato da una grave malattia e la loro paura di perdermi. Ricordo anche le notti trascorse da mio padre in campagna, in compagnia dei covoni, le sue spalle appesantite da sacchi pieni di ulive, la sua schiena ricurva sulla terra dissodata, con la zappa fra le mani, pronta per essere seminata.
E, che dire delle colazioni quotidiane, così originali: verdura di campagna, fave cotte con un po’ di peperoncino e pane. Ancora oggi ne sento il buon sapore e ne sono estasiato.
Ancora mi ritornano in mente le mani incallite di mio padre e di mia madre che per anni hanno solcato il terreno, mietuto il grano, raccolto l’uva, le olive e tutto quello che quel bel giardino d’eden offriva; mani che filavano il tabacco come se dovessero ricamarlo o, impastavano la farina per il buon pane casareccio. Volti rigati dal duro lavoro, ma sereni; speranze, delle volte anche delusioni, ma costanza e determinazione nella vita.
Queste sono le impronte lasciate sul mio cuore che ancora oggi danno un senso alla mia esistenza. Sì! É saggio rievocare le nostre radici.
“Bada bene a te stesso e guardati dal dimenticare le cose che i tuoi occhi hanno viste, ed esse non ti escano dal cuore finché duri la tua vita. Anzi, falle sapere ai tuoi figli e ai figli dei tuoi figli” (Deuteronomio 4:9).