Francesco Zenzale
La parola ispirata ci rivela il carattere di Dio, il suo amore infinito e la sua grande misericordia. Quando Mosè disse in preghiera “…Fammi vedere la tua gloria!”, il Signore gliela rivelò rispondendo: “Io farò passare davanti a te tutta la mia bontà…” (Esodo 33:18,19). Poi, passando davanti a Mosè proclamò: “Io sono il Signore, il Dio misericordioso e clemente, sono paziente, sempre ben disposto e fedele. Conservo la mia benevolenza verso gli uomini per migliaia di generazioni, e tollero le disubbidienze, i delitti e i peccati…” (34:6,7). “Nessun Dio è come te, Signore: tu cancelli le nostre colpe, perdoni i nostri peccati. Per amore dei sopravvissuti del tuo popolo, non resti in collera per sempre ma gioisci nel manifestare la tua bontà”, (Michea 7:18).
Solo “presso Dio vi è perdono” (Salmo 130:4); Egli in Gesù Cristo “ha perdonato tutti i nostri peccati” (Colosseo 2:13). In Ebrei 10:17, sta scritto che il Signore “non si ricorderà più dei nostri peccati e delle nostre iniquità”.
Il perdono divino è un atto di misericordia che ci ha dato la vita, umana e cristiana, precedendo anche i nostri peccati e il pentimento: Ed è sempre un atto creativo che riceviamo continuamente da Dio nella nostra vita. Da questa verità derivano alcune importanti conseguenze.
1. Il perdono è gesto gratuito, non legato alla richiesta dell’altro e neppure al suo pentimento. Chi perdona anticipa tutto questo: non sta ad aspettare l’altro o a scrutare i segni del suo pentimento, è disposto, se necessario, a fare il primo passo e, in ogni caso non pone condizioni a chi l’ha offeso né s’attende eterna riconoscenza.
Dio vuole che perdoniamo a tutti coloro che ci hanno fatto del male durante tutta la vita, sia che sappiano o no il male che ci hanno fatto, sia che vogliono o no il nostro perdono. Scrive E G. White, nel suo libro Con Gesù sul monte delle beatitudini: “Chi non perdona si priva del solo mezzo atto a beneficiare della misericordia di Dio. Non pensiamo che, se chi ci ha fatto del torto non confessa il suo peccato, noi abbiamo il diritto di negargli il perdono. Certo, il suo dovere è di umiliarsi col pentimento e la confessione; ma noi dobbiamo mostrarci misericordiosi verso che ci ha offesi, anche se non riconosce il suo torto. Per quanto egli abbia potuto ferirci crudelmente, non dobbiamo serbare rancore né addolorarci a dismisura per i torti ricevuti; ma dobbiamo perdonare chi ci ha offesi, come speriamo di essere perdonati da Dio per le offese che Gli abbiamo recate” (p. 132).
2. In “Vivere riconciliati”, A. Cencini scrive: “Il perdono è un gesto umile che non umilia, così discreto e silenzioso che il perdonato potrebbe darlo anche per scontato o non sapere quanto è costato. Dare il perdono non significa mettere l’altro in ginocchio perché riconosca i suoi torti, e nemmeno costringerlo alla resa facendogli pesare, con sottili malignità, la sua colpa. Nulla di solenne o troppo serioso in questo tipo di perdono: esso nasce – e talvolta resta nascosto – in cuore «educato» dalla misericordia di divina, e si manifesta all’esterno con un fare mite e arrendevole” (p. 86).
Una preghiera: “Signore, come tu sulla croce hai perdonato coloro che ti uccidevano e non erano affatto pentiti, anch’io voglio perdonare tutti coloro che mi hanno fatto del male, anche se non mi hanno mai chiesto scusa”.