Notizie Avventiste – Francesco Zenzale
Siamo sul far della sera, all’imbrunire, quando Gesù, dopo una lunga ed estenuate giornata d’intensa attività, dice ai suoi discepoli di “passare all’altra riva» del lago. Il testo ci informa che Gesù era molto stanco, infatti, Marco evidenzia che Gesù “stava a poppa, dormendo sul guanciale” (Mc 4: 35-41).
Ed ecco nel cuore della notte “si sollevò una gran tempesta di vento”. Il lago di Genezaret, a causa della sua posizione geografica, ai piedi del monte Hermon, è notoriamente soggetto a queste tempeste improvvise. In seguito alla furiosa tormenta, i discepoli, pescatori d’esperienza, cercarono di gestire la situazione come avevano sempre fatto, facendo appello alla loro esperienza e forza fisica. Erano convinti che sarebbero riusciti come tante altre volte. Riesco a immaginarli, in mezzo al lago, mentre cercano di dominare le forze della natura con la loro abilità e le loro procedure di emergenza.
Dopo un po’ si rendono conto di trovarsi in seria difficoltà. Le energie psicologiche e fisiche incominciano a cedere, la paura della morte si fa strada nelle loro menti… cadono in balia della disperazione e dell’angoscia. Le loro speranze, le certezze e la loro fiducia s’inabissano. Nel contempo “Gesù dorme”. Alla scena dei discepoli angosciati, si contrappone Gesù che “dorme”.
Quando una persona dorme perde il contatto con la realtà: la vita scorre inconsapevolmente. Non si rende conto del tempo che passa, di quello che succede intorno. Il sonno è un lasciarsi andare alla vita: smettere di avere tutto sotto controllo. È un atto d’abbandono, di fiducia, è un lasciarsi dondolare. Il sonno di Gesù suggerisce l’intimità e la fiducia che egli aveva in Dio, suo padre.
Anche i discepoli dormono, ma spiritualmente. È un sonno pericoloso, perché si tratta di perdere di vista Gesù e quindi lasciarsi intrappolare da un io fragile, ghermito dalla paura e dall’agitazione.
Non è la prima volta che i discepoli, pur avendo Gesù accanto, sono lontani da lui, non riescono a cogliere la sua missione, il senso delle sue parole e dei suoi gesti messianici: il senso e la qualità della vita che fluisce da colui nel quale abita la pienezza della divinità (Colossesi 2:9).
Molti sono i credenti che imitano gli apostoli e che non sanno che cosa significhi pienamente la frase “per me vivere è Cristo” (Filippesi 1:21). Ancorati alla dottrina e al modo come questa deve essere vissuta, secondo la propria griglia interpretativa, approdati in un cristianesimo del fare e del mostrare, perdono di vista colui che ne è il cuore, che dà senso: Gesù Cristo.
Edmon de Pressensé, diceva: “Il Cristianesimo non è una dottrina, né un libro, É un fatto, o piuttosto una persona: Gesù Cristo”.
È più facile avere a che fare con la dottrina o con dei comandamenti, piuttosto che con la persona di Gesù Cristo. Si può trasgredire la dottrina “che è senza anima” e conseguentemente auto-giustificarsi anche con un semplice e pio desiderio: la prossima volta farò più attenzione. Chissà quante volte ci siamo promessi di non peccare più… e ci siamo ricascati.
Quando profaniamo la persona di Gesù Cristo nella e con la nostra vita, ignorandola e affrontando il quotidiano come se egli non esistesse, diventa difficile riconoscersi trasgressori, chiedere scusa, lasciarsi perdonare e scegliere di dipendere da lui (Giovanni 15:5). Bisogna allora distanziarsi dal nostro io e da tutto ciò che lo sorregge e lo indebolisce: legge, tradizioni, cultura, ecc.
Più la legge diventa il cuore del cristianesimo, maggiore sarà l’indebolimento morale, perché, come scrive l’apostolo Paolo, il potere del peccato è la stessa legge (1 Corinzi 15:56; Romani 7). Più Gesù Cristo diventa parte integrante della nostra vita, maggiore spessore morale acquista la nostra esistenza.
Se pensassimo e parlassimo di più di Gesù, e meno di noi stessi, potremmo sentirlo molto più vicino a noi. Se vivessimo in sintonia con il Cristo, animati dall’amore di Dio, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, i nostri obiettivi, le nostre azioni sarebbero in armonia con la volontà del Signore.
Possiamo attraversare il lago della vita solo una volta. In questo passaggio, cerchiamo di fare della nostra esistenza il miglior uso. Che Gesù diventi il migliore e l’unico compagno di viaggio.