Che cosa bisogna fare per essere salvati?
«In nessun altro è la salvezza; perché non vi è sotto il cielo nessun altro nome che sia stato dato agli uomini, per mezzo del quale noi dobbiamo essere salvati» (At 4:12). Che cosa bisogna fare per essere salvati? In generale a questa domanda si risponde che oltre ad accettare Gesù Cristo è importante essere una brava persona e compiere delle buone opere, anche se non sempre si è così «buoni» come si vuole far credere. Comunque, l’importante è non rubare, non uccidere, ecc… La risposta è ambigua perché da una parte si accetta Gesù come Salvatore, dall’altra, mediante le opere, si evidenziano i propri meriti; così facendo testimoniamo che il sacrificio di Cristo è incompleto ai fini della nostra salvezza. Ciò non è conforme all’insegnamento della Parola di Dio. La salvezza non consiste affatto – pesando sulla bilancia della giustizia umana – di buone azioni in opposizione ai peccati, perché in tutti i modi saremo perdenti dal momento che sta scritto: «non c’è nessun giusto, neppure uno. Non c’è nessuno che capisca, non c’è nessuno che cerchi Dio. Tutti si sono sviati, tutti quanti si sono corrotti. Non c’è nessuno che pratichi la bontà, no, neppure uno» (Ro 3:10-12). E ancora, «la nostra giustizia è come un abito sporco» (Is 64.6) e pertanto siamo «tutti privi della gloria di Dio» (Ro 3:23). Secondo l’apostolo Paolo, «è per grazia che siete stati salvati, mediante la fede; e ciò non viene da voi; è il dono di Dio» (Ef 2:8). E «se è per grazia, e non più per opere, altrimenti la grazia non sarebbe più grazia« (Ro 11:6). Il Signore, «ci ha salvati non per opere giuste da noi compiute, ma per la sua misericordia, mediante il bagno della rigenerazione e del rinnovamento dello Spirito Santo» (Ti 3:5). Come peccatori non abbiamo nessuna possibilità di esser salvati. Per questo motivo Iddio prese l’ iniziativa mostrandoci la via di come riunirci con lui nel cielo. «Poiché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3:16). La vita eterna è un dono (Ro 6:23) e non esiste un altra via all’infuori di Cristo per essere salvati. Solo Gesù è «la via» e nessuno può accedere a Dio Padre se non per mezzo di lui (Gv 14.6). La salvezza la si consegue solo attraverso la fede in Cristo Gesù! «E in nessun altro vi è la salvezza, poiché non c’è alcun altro nome sotto il cielo che sia dato agli uomini, per mezzo del quale dobbiamo essere salvati» (At 4:12). Siamo salvati non per quel che facciamo, abbiamo e/o siamo, ma per quello che Dio ha fatto per noi. «Il carceriere, chiesto un lume, balzò dentro e tutto tremante, si gettò ai piedi di Paolo e di Sila; poi li condusse fuori e disse: “Signori, che debbo fare per essere salvato?“ Ed essi risposero: “Credi nel Signore Gesù, e sarai salvato tu e la tua famiglia» (At 16: 29-31). In breve, Dio è l’autore della salvezza del peccatore, il suo amore ne è la sorgente; la morte di Cristo, il mezzo; la fede del peccatore che fa propri i meriti di Cristo, la condizione. «Giustificati dunque per fede, abbiamo pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore» (Ro 5:1). Credi che Gesù Cristo sia il salvatore? Desideri offrirgli il meglio di te stesso? Past. Francesco Zenzale «Ecco, la mano del SIGNORE non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire; ma le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto. Le vostre mani infatti sono contaminate dal sangue, le vostre dita dall’iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità» (Is 59: 1-4). «Oggi il concetto di “peccato” è sempre più fuori moda. Recenti statistiche confermano che ben pochi sono i peccati tradizionali considerati ancora tali. La coscienza della gente condanna ancora gesti come l’omicidio, il furto, la menzogna, mentre “riabilita” l’adulterio, la bestemmia, la violazione delle feste e in genere tutto ciò che non comporta danni immediati alla società. Cos’è in realtà il peccato? Per rispondere occorre rifarsi al testo biblico, precisamente ai primi capitoli della Genesi, in cui è descritto il primo peccato dell’umanità. L’episodio, al di là della lettera, appare profondamente significativo. Siamo di fronte a un dramma che, inserito in una cornice pedagogica adatta a ogni tempo, pone alla nostra attenzione un problema esistenziale molto attuale: chi deve decidere ciò che è giusto o sbagliato? Chi stabilisce il codice etico a cui attenersi? L’uomo risponde in modo chiaro disubbidendo all’ordine divino e affermando così la propria autonomia, la propria sovranità. La sfida alla sovranità di Dio s’inserisce, d’altra parte, in una situazione di ribellione e di rivendicazione che trascende la terra e abbraccia l’universo intero. In questo conflitto è presente l’inquietante personaggio di Satana. Il desiderio di autonomia è il presupposto ideologico della nostra società: l’uomo vuole liberarsi da un Dio concepito come un limite alle proprie potenzialità. Egli vuole una libertà assoluta. Ma per quali mete? Scopriamo, oggi più di ieri, che la nostra libertà si è trasformata in arbitrio e le relative conseguenze ricadono pesantemente su di noi. Per esempio, nel suo rapporto con il creato, l’uomo ha aggredito la natura per sfruttarla senza pudore, ponendo le basi per una prossima distruzione dell’ecosistema mondiale; sul piano etico ha aggredito il fratello, disinteressandosi della sua sorte, della sua fame, della sua miseria. Abbiamo pensato di essere “simili agli dèi” e ci ritroviamo, credenti e non, a parlare di una prossima fine del mondo. In realtà questi gravissimi problemi globali, che l’umanità affronta per la prima volta in maniera così drammatica, hanno origine nel peccato di ogni singolo individuo, nell’egoismo, nella superficialità, nel desiderio di potere, nel clima di sospetto e di critica, in cui ognuno di noi è inserito. «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi (1Gv 1:8-10).
Past. Francesco Zenzale
Che cos’è il peccato?
«Ecco, la mano del SIGNORE non è troppo corta per salvare, né il suo orecchio troppo duro per udire; ma le vostre iniquità vi hanno separato dal vostro Dio; i vostri peccati gli hanno fatto nascondere la faccia da voi, per non darvi più ascolto. Le vostre mani infatti sono contaminate dal sangue, le vostre dita dall’iniquità; le vostre labbra proferiscono menzogna, la vostra lingua sussurra perversità» (Is 59: 1-4). «Oggi il concetto di “peccato” è sempre più fuori moda. Recenti statistiche confermano che ben pochi sono i peccati tradizionali considerati ancora tali. La coscienza della gente condanna ancora gesti come l’omicidio, il furto, la menzogna, mentre “riabilita” l’adulterio, la bestemmia, la violazione delle feste e in genere tutto ciò che non comporta danni immediati alla società. Cos’è in realtà il peccato? Per rispondere occorre rifarsi al testo biblico, precisamente ai primi capitoli della Genesi, in cui è descritto il primo peccato dell’umanità. L’episodio, al di là della lettera, appare profondamente significativo. Siamo di fronte a un dramma che, inserito in una cornice pedagogica adatta a ogni tempo, pone alla nostra attenzione un problema esistenziale molto attuale: chi deve decidere ciò che è giusto o sbagliato? Chi stabilisce il codice etico a cui attenersi? L’uomo risponde in modo chiaro disubbidendo all’ordine divino e affermando così la propria autonomia, la propria sovranità. La sfida alla sovranità di Dio s’inserisce, d’altra parte, in una situazione di ribellione e di rivendicazione che trascende la terra e abbraccia l’universo intero. In questo conflitto è presente l’inquietante personaggio di Satana. Il desiderio di autonomia è il presupposto ideologico della nostra società: l’uomo vuole liberarsi da un Dio concepito come un limite alle proprie potenzialità. Egli vuole una libertà assoluta. Ma per quali mete? Scopriamo, oggi più di ieri, che la nostra libertà si è trasformata in arbitrio e le relative conseguenze ricadono pesantemente su di noi. Per esempio, nel suo rapporto con il creato, l’uomo ha aggredito la natura per sfruttarla senza pudore, ponendo le basi per una prossima distruzione dell’ecosistema mondiale; sul piano etico ha aggredito il fratello, disinteressandosi della sua sorte, della sua fame, della sua miseria. Abbiamo pensato di essere “simili agli dèi” e ci ritroviamo, credenti e non, a parlare di una prossima fine del mondo. In realtà questi gravissimi problemi globali, che l’umanità affronta per la prima volta in maniera così drammatica, hanno origine nel peccato di ogni singolo individuo, nell’egoismo, nella superficialità, nel desiderio di potere, nel clima di sospetto e di critica, in cui ognuno di noi è inserito. «Se diciamo di essere senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi. Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità. Se diciamo di non aver peccato, lo facciamo bugiardo, e la sua parola non è in noi (1Gv 1:8-10).
Past. Francesco Zenzale
Che cos’è il pentimento?
«Dio dunque, passando sopra i tempi dell’ignoranza, ora comanda agli uomini che tutti, in ogni luogo, si ravvedano, perché ha fissato un giorno, nel quale giudicherà il mondo con giustizia per mezzo dell’uomo ch’egli ha stabilito, e ne ha dato sicura prova a tutti, risuscitandolo dai morti» «At 17:30». Uno degli aspetti importanti, del perdono, oltre alla confessione è il pentimento. Gli esempi di vero pentimento e di profonda umiliazione riportati nella Parola di Dio rivelano che chi confessa i propri peccati non tenta di giustificarsi. Paolo non cercava scuse, anzi, dipinse il proprio peccato a tinte fosche e non fece nulla per sminuire la propria colpa. Ecco le sue parole: «I capi dei sacerdoti mi avevano dato un potere speciale, e io gettavo in prigione molti cristiani. E quando essi venivano condannati a morte, anch’io votavo contro di loro. Spesso andavo da una sinagoga all’altra per costringerli con torture a bestemmiare. Ero crudele contro i cristiani senza alcun riguardo, e li perseguitavo anche nelle città straniere» (At 26:10,11). E poi affermò con convinzione: «Questa è una parola sicura, degna di essere accolta da tutti: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori. Io sono il primo dei peccatori”» (1 Tm 1:15). «Il pentimento deve implicare un profondo dolore per il peccato e il desiderio di rinunciarvi. Occorre riconoscerne la gravità e distaccarsene completamente se vogliamo davvero cambiare la nostra vita. Sono molti coloro che non riescono a comprendere il vero significato del pentimento; essi sono rattristati per il peccato commesso e, temendo le conseguenze del loro comportamento, si limitano a migliorare se stessi soltanto superficialmente. Questo non è il pentimento che la Bibbia ci insegna: queste persone sono più dispiaciute per le conseguenze dei loro errori, che per il peccato in sé. Quando Esaù si accorse di aver definitivamente perso il diritto di primogenitura, provò lo stesso timore. Questa fu anche l’esperienza di Balaam, che terrorizzato dall’angelo che gli stava davanti con la spada sguainata, per paura di perdere la vita, riconobbe la propria colpa; ma in seguito dimostrò di non essersi pentito sinceramente, di non provare avversione per il male e di non aver cambiato le proprie intenzioni» (E. G. White, La via migliore, p 24). Chi si pente sinceramente, manifestando umiltà e dolore, comprenderà l’amore di Dio e il significato del Calvario e si rivolgerà a Dio come un figlio che confessa i propri errori al padre che lo ama. La Parola di Dio dice: «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Gv 1:9). «Dio non accetta la confessione che non è accompagnata da un sincero pentimento, da un profondo rammarico per il peccato commesso e che non porta a una riforma della propria vita, eliminando tutto ciò che lo offende. Ecco come il profeta descrive questa esperienza: «Lavatevi, purificatevi, basta con i vostri crimini. È ora di smetterla di fare il male, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate gli oppressi, proteggete gli orfani e difendete le vedove» (Is 1:16,17)». Ibdem, p. 59).
Past. Francesco Zenzale
Che cos’è il piano della salvezza?
«Quando giunse la pienezza del tempo, Dio mandò suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per riscattare quelli che erano sotto la legge, affinché noi ricevessimo l’adozione» (Gl 4: 4-5). Se tu volessi trovare la risposta compiuta ai tuoi problemi, la sintesi perfetta della soluzione di tutte le tue crisi, la strada unica per liberarti della paura e dell’inquietudine, per appianare le difficoltà della tua vita e riuscire a vivere serenamente con la prospettiva della vita eterna, la risposta la troverai in un solo libro: la Bibbia. La Scrittura è unica perché è la testimonianza che i profeti e gli apostoli hanno dato di Dio, ma anche perché riempie la tua vita con il suo insondabile e infinito contenuto. In essa troviamo una risposta sovrana: «Credi nel Signor Gesù Cristo e sarai salvo tu e la tua casa (At 16:31). Cristo Gesù è la persona che si fa carico dei tuoi mali, e cura le tue ribellioni per offrirti una felicità presente e un avvenire radioso. Cristo, della stessa natura del Padre e in sintonia con lo Spirito Santo, è il Creatore di tutto quanto esiste, contemporaneamente è anche colui che agisce in modo che le conflittualità e le contraddizioni del nostro tempo, che generano contrapposizioni e disarmonia, siano trasformate, grazie al suo intervento, in occasioni di salvezza per tutti coloro che confidano nella sua misericordia in vista dell’eterna sicurezza . Cristo, il Figlio di Dio, che ti ama appassionatamente, ha formulato un piano meraviglioso per salvarti dell’eterna distruzione, per riscattarti degli artigli della paura, del peccato e dell’angoscia. Questo progetto di redenzione si è concretizzato nella sua vita e non vi ha rinunciato neppure dinanzi alla minaccia della morte, che gli fu inferta nel modo più ignominioso: la croce. Pur essendo Dio si fece uomo (Fl 2:7-8); pur abitando una gloria inaccessibile, discese in questo mondo ottenebrato dal peccato. Visse e soffrì come te. Ebbe sete (Gv 19:28), fame (Mt 21:1-8), provò la tristezza (Mt 26:38), come me e te, fu tentato in tutto ma senza peccare (Ebrei 4:15). Sopportò l’amarezza dell’incomprensione, dell’ingratitudine e dell’odio. Con pace e pazienza imperturbabili sopportò gli schiaffi, le frustate, gli sputi inferti da uomini vili. Infine accettò di morire sulla croce al posto dell’uomo affinché tu, per la fede in lui, accettandolo come personale Salvatore, ottenessi la vita eterna. «Perché Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna» (Gv 3:16). Dio ti ama e desidera che tu viva per sempre. Accetta il frutto del suo amore: Gesù Cristo.
Past. Francesco Zenzale
Come liberasi dal senso di colpa?
«Allora gli scribi e i farisei gli condussero un donna còlta in adulterio; e, fattala stare in mezzo, gli dissero: «Maestro, questa donna è stata còlta in flagrante adulterio. Or Mosè, nella legge, ci ha comandato di lapidare tali donne; tu che ne dici?» Dicevano questo per metterlo alla prova, per poterlo accusare. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere con il dito in terra. E, siccome continuavano a interrogarlo, egli, alzato il capo, disse loro: «Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei». E, chinatosi di nuovo, scriveva in terra. Essi, udito ciò, e accusati dalla loro coscienza, uscirono a uno a uno, cominciando dai più vecchi fino agli ultimi; e Gesù fu lasciato solo con la donna che stava là in mezzo. Gesù, alzatosi e non vedendo altri che la donna, le disse: «Donna, dove sono quei tuoi accusatori? Nessuno ti ha condannata?». Ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù le disse: «Neppure io ti condanno; va’ e non peccare più» (Gv 8:3-11). Come liberarsi dai sensi di colpa? Due semplici indicazioni: 1. Andare a Gesù e dirgli o raccontargli tutto. – Gesù ha detto: «Venite a me, voi tutti che siete travagliati e aggravati, ed io vi darò riposo» (Mt 11:28). Se Gesù rivolge ai suoi figli questo invito, vuol dire che egli è disposto ad ascoltarci e che non c’é aspetto della nostra vita, belo o brutto che sia, che Dio non voglia interessarsi. Dobbiamo, veramente, dirgli tutto e con tutto il cuore. E, non dobbiamo avere vergogna di noi stessi, delle nostre meschinità, dei nostri peccati e dei nostri pensieri impuri. Per quanto triste sia stato il nostro passato, per quanto doloroso sia il presente, se ci avviciniamo a Gesù così come siamo, deboli, avviliti, disperati, il nostro Salvatore ci accoglierà. Ci aprirà le braccia della grazia e dell’amore per presentarci al Padre rivestiti del candido manto del suo carattere. 2. Dargli tutto e prendere tutto. – Che cosa abbiamo e che cosa siamo disposti a dare a Gesù? In preghiera è importante dare tutto a Gesù, tutto ciò che noi siamo, in particolare modo, ciò che ci impedisce di essere sereni, ma soprattutto il nostro cuore. Infatti, l’unica cosa che Gesù chiede da noi è il nostro cuore, infatti sta scritto “Figlio mio, dammi il tuo cuore, e gli occhi tuoi prendano piacere nelle mie vie” (Proverbi 23:26). Come si può facilmente capire Gesù ci invita a dargli il cuore per il nostro bene, per la nostra serenità. Quando gli diamo il nostro cuore così com’è, Egli dopo averlo purificato, ce lo restituisce ripieno della gioia della salvezza. «Dobbiamo dargli tutto: il cuore, la mente, la nostra operosità e l’ubbidienza ai suoi precetti. Dobbiamo dargli tutto e allo stesso tempo prendere tutto: cioè Cristo, che è la completezza della benedizione di Dio, perché dimori in noi e sia la nostra forza, la nostra giustizia e il nostro aiuto per sempre» (E. G. White, Passi verso Gesù, pag. 68). «Dio attende con amore infinito la confessione degli uomini tormentati e accoglie l’espressione del loro pentimento… Egli ci invita ad affidare i nostri conflitti alla sua comprensione, le nostre sofferenze al suo amore, le nostre ferite alla sua capacità di guarire, la nostra debolezza alla sua forza, il nostro vuoto alla sua pienezza. Egli non ha mai deluso chi si è affidato a lui» (E. G. White, Con Gesù Sul monte delle Beatitudini, pag. 101). «Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, affinché otteniamo misericordia e troviamo grazia per ricevere aiuto al tempo opportuno» (Eb 4:16).
Past. Francesco Zenzale
Qual è il significato della confessione?
«Poi disse: «Ti prego, Signore, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, venga il Signore in mezzo a noi, perché questo è un popolo dal collo duro; perdona la nostra iniquità, il nostro peccato e prendici come tua eredità» (Sl 34:9). La confessione è un’esperienza spirituale mediante la quale noi dichiariamo, con umiltà e sincero pentimento, la nostra fallibilità davanti a Dio che conosce ogni dettaglio della nostra vita (Sl 139). Essa esprime l’inevitabile sentimento di bisogno e di indegnità che accompagna la consapevolezza che abbiamo della grandezza di Dio. Quando Isaia vide “il Signore assiso sopra un trono alto, molto elevato”, disse, “Ahi, lasso me, ch’io sono perduto! Poiché io sono un uomo dalle labbra impure” (Is 6:1- 5). Non possiamo vivere in presenza di Dio senza sentire i limiti del nostro essere creature e la nostra condizione di peccato. Se il peccatore vuole essere liberato dal doloroso senso di colpa e dalla schiavitù del peccato che l’opprime, deve necessariamente umiliarsi, riconoscere la propria colpa e confessare i propri peccati, seguendo l’esempio del figlio prodigo che esclama: “Padre, ho peccato contro il cielo e davanti a te e non sono più degno di essere chiamato tuo figlio” (Luca 15: 21), oppure quello del pubblicano che non osa neppure alzare gli occhi, si batte il petto e dice: “O Dio, sii placato verso me peccatore” (Lc 18: 13). Entrambi non cercano di giustificarsi davanti a Dio e non manifestano alcuna reticenza nella loro confessione, ma sono pronti ad accettare le conseguenze dei loro peccati. La loro confessione non è vaga e anonima, una ammissione di colpe indefinite: è personale, menzionano i peccati in tutta la loro gravità ed orrore. Esprimono il desiderio e la volontà di separarsene, di riparare al male fatto, come risulta anche nell’esperienza di Zaccheo (Lc 19), cercando di non ricadere più negli stessi errori. La loro confessione è sincera, profonda e completa. Il perdono divino è consequenziale al sincero pentimento e alla confessione dei nostri peccati fatta con piena fiducia: «Davanti a te ho riconosciuto il mio peccato, non ho coperto la mia iniquità. Ho detto: «Confesserò le mie trasgressioni all’Eterno», e tu hai perdonato l’iniquità del mio peccato» (Sl 32: 5). La Bibbia ci presenta diversi modi di confessioni. I più noti sono quelli di Davide (Sl 51), di Nehemia (Neh 1: 5-7) e di Daniele (9: 4-19). “Chi copre le sue trasgressioni non prospererà, ma chi le confessa e le abbandona otterrà misericordia” (Pr 28: 13).
Past. Francesco Zenzale
Come vivere riconciliati con Dio?
«Tanto più dunque, essendo ora giustificati per il suo sangue, saremo per mezzo di lui salvati dall’ira. Se infatti, mentre eravamo nemici, siamo stati riconciliati con Dio mediante la morte del Figlio suo, tanto più ora, che siamo riconciliati, saremo salvati mediante la sua vita. Non solo, ma ci gloriamo anche in Dio per mezzo del nostro Signore Gesù Cristo, mediante il quale abbiamo ora ottenuto la riconciliazione» (Ro 5:9-11). Secondo il profeta Isaia, sono i nostri peccati che ci hanno separato da Dio (Is 59:2) e pertanto per recuperare il nostro rapporto con Dio è innanzitutto importante riconoscere i nostri peccati. Ciò è possibile grazie all’aiuto dello Spirito Santo che agisce nei nostri cuori aiutandoci a prenderne coscienza (Gv 16:8). In secondo luogo un sincero pentimento. Gli esempi di vero pentimento e di profonda umiliazione riportati nella Parola di Dio rivelano che chi confessa i propri peccati non tenta di giustificarsi. Paolo non cercava scuse, anzi, dipinse il proprio peccato a tinte fosche e non fece nulla per sminuire la propria colpa. Ecco le sue parole: «I capi dei sacerdoti mi avevano dato un potere speciale, e io gettavo in prigione molti cristiani. E quando essi venivano condannati a morte, anch’io votavo contro di loro. Spesso andavo da una sinagoga all’altra per costringerli con torture a bestemmiare. Ero crudele contro i cristiani senza alcun riguardo, e li perseguitavo anche nelle città straniere» (At 26:10,11). E poi affermò con convinzione: «Questa è una parola sicura, degna di essere accolta da tutti: “Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori. Io sono il primo dei peccatori”» (1 Tm 1:15). Chi si pente sinceramente, manifestando umiltà e dolore, comprenderà l’amore di Dio e il significato del Calvario e si rivolgerà a Dio come un figlio che confessa i propri errori al padre che lo ama. La Parola di Dio dice: «Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità» (1 Gv 1:9). Oltre il pentimento e la confessione è importante la determinazione ad abbandonare il peccato e laddove è possibile rimediare il male fatto. In questo l’esempio di Zaccheo è emblematico. «Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; se ho frodato qualcuno di qualcosa gli rendo il quadruplo». Gesù gli disse: «Oggi la salvezza è entrata in questa casa, poiché anche questo è figlio d’Abraamo; perché il Figlio dell’uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto». (Lc 19: 8-10). Una significativa illustrazione di un vero e genuino ravvedimento, di perdono e di riconciliazione con Dio, è la parabola del figlio prodigo (Lc 15:11-32). Il figlio, il più giovane, dissipò l’intera eredità che il padre gli aveva donato sperperando tutto in una vita vergognosa e di peccato (v.13). Quando riconobbe il suo errore, decise di tornare a casa (v. 18). Il giovane presume che non sarà più ricevuto dal padre come un figlio (v. 19), però si sbaglia. Il padre non solo amò il ritorno del figlio ribelle (v. 20). Ma tutto il male gli fu perdonato, e come risultato si celebrò una festa in suo onore (v. 24). Dio è sempre buono e mantiene le sue promesse, ed egli «è vicino a quelli che hanno il cuore rotto e salva quelli che hanno lo spirito contrito» (Sl 34:18). Dice il Signore, «per amor di me stesso cancello le tue trasgressioni e non mi ricorderò più dei tuoi peccati» Is 43:25). E, quand’anche «i vostri peccati fossero come scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; anche se fossero rossi come porpora, diventeranno come la lana» (Is 1:18). Dio ha perdonando i tuoi peccati di offre la gioia di vivere in Lui un’esistenza nella prospettiva della vita eterna. Accetta il suo perdono e riconciliati con Lui.
Past. Francesco Zenzale