Qual è il significato del secondo comandamento?
“Non farti scultura, né immagine alcuna delle cose che sono lassù nel cielo o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrare davanti a loro e non li servire, perché io, il SIGNORE, il tuo Dio, sono un Dio geloso; punisco l’iniquità dei padri sui figli fino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano, e uso bontà, fino alla millesima generazione, verso quelli che mi amano e osservano i miei comandamenti” (Es 20: 4-6). Questo precetto segnala il pericolo di confondere Dio con le immagini che ci facciamo di lui, o di dedicare a un oggetto quella devozione che solo deve essere tributata a un Essere. Tutte le cose di questo mondo possono trasformarsi in idoli. Il potere, il lusso, le apparenze, la ricchezza, la gloria, la fama, possono occupare facilmente il centro della nostra vita. Quando ciò succede, stiamo trasgredendo il secondo comandamento. A volte, ci troviamo di fronte a cose che ci seducono più delle proposte divine: la fantasia degli artisti, il magnetismo di certe personalità, le attrattive dei messaggi pubblicitari, o semplicemente certi deliri della nostra fantasia. Disorientati o affascinati, ci costa fatica il distinguere tra ciò che è sicuro e il probabile, l’immaginario dal reale, il vero dal falso. «Non ti farai immagini» significa che le rappresentazioni mentali che ci fabbrichiamo ed esaltiamo, possono convertirsi in idoli. Neppure le istanze religiose sono esenti da tale rischio. Quando il prestigio, l’organizzazione, la personalità o la gerarchia si interpongono tra l’essere umano e l’Essere supremo, stiamo costruendo una «immagine» che nasconde Dio, quindi incorriamo nel «delitto» dell’idolatria. Con questo comandamento Dio rivendica per sé ogni atto d’adorazione o forma di culto. “Io mi prostrai ai suoi piedi per adorarlo. Ma egli mi disse: «Guàrdati dal farlo. Io sono un servo come te e come i tuoi fratelli che custodiscono la testimonianza di Gesù: adora Dio! Perché la testimonianza di Gesù è lo spirito della profezia»” (Ap 10: 10). Evidenzia l’interesse che Dio ha nei confronti dell’uomo che l’ha creato a sua immagine e somiglianza. “Dio creò l’uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò maschio e femmina” (Gn 1: 27). Invita l’uomo a salvaguardare la propria dignità perché egli creatura di Dio. “ … Nessuno rientra in sé stesso e ha conoscimento e intelletto per dire: “Ne ho bruciato la metà nel fuoco, sui suoi carboni ho fatto cuocere il pane, vi ho arrostito la carne che ho mangiata; con il resto farei un idolo abominevole? Mi inginocchierei davanti a un pezzo di legno?” (Is 44: 9-20). Farsi delle immagini e adorarle, significa minimizzare Dio, la sua grandezza e limitarne il suo essere infinito. Evidenzia un tentativo da parte dell’uomo di manipolare Dio, di ridurre Dio ad un’idea, ad un concetto e a propria immagine e somiglianza. Non è Dio che è stato creato ad immagine dell’uomo, ma l’uomo ad immagine di Dio, e l’uomo, non è stato creato ad immagine di un essere vivente (animale), di un pezzo di legno lavorato a mano, di se stesso o di un angelo, ma del Creatore (Gn 1: 27). Il comandamento tutela la dignità della persona, il suo valore e invita l’uomo a stimarsi e ad essere fiero di essere creatura di Dio. “Sei tu che hai formato le mie reni, che mi hai intessuto nel seno di mia madre. Io ti celebrerò, perché sono stato fatto in modo stupendo. Meravigliose sono le tue opere, e l’anima mia lo sa molto bene” (Sl 139: 13-13). Nel corso dei secoli il culto delle immagini, che a poco a poco andava introducendosi, suscitò le più energiche reazioni. Si dichiararono contro il culto delle immagini Eusebio di Cesarea († 33) e vari concili (Kirsch, Enchirididion fontium ecclesiasticae antiquate, ed 1923). «…l’ora viene, anzi è già venuta, che i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità; poiché il Padre cerca tali adoratori. Dio è Spirito; e quelli che l’adorano, bisogna che l’adorino in spirito e verità» (Gv 23-24).
Past. Francesco Zenzale
Mi può spiegare Colossesi 2:14-15?
«Egli ha cancellato il documento a noi ostile, i cui comandamenti ci condannavano, e l’ha tolto di mezzo, inchiodandolo sulla croce; ha spogliato i principati e le potenze, ne ha fatto un pubblico spettacolo, trionfando su di loro per mezzo della croce» (Col 2: 14-15) La traduzione del Luzzi (Riveduta): «avendo cancellato l’atto accusatore scritto in precetti, il quale ci era contrario…» (v. 14), può dare adito a un equivoco in quanto la parola precetti può far pensare alla legge dei 10 comandamenti (è in questo senso che viene spesso interpretato questo versetto da lettori sprovveduti, seppure in buona fede). Ma Paolo non ha voluto dire che Dio ha annullato i suoi comandamenti inchiodandoli alla croce. L’apostolo ha voluto semplicemente sottolineare quanto sia stato completo il perdono divino e lo fa in modo efficace esprimendosi con una metafora. Ciò che Dio ha annullato sulla croce è il documento della nostra colpevolezza il quale, con le sue clausole, deponeva a nostro sfavore. Il pensiero di Paolo in Cl 2:14 è reso con maggiore chiarezza nelle versioni più recenti della Bibbia. Il testo della C.E.I. per esempio, lo traduce nel modo seguente: «Annullando il documento scritto del nostro debito, le cui condizioni ci erano sfavorevoli. Egli lo ha tolto di mezzo inchiodandolo alla croce». La parola greca keirographon, tradotta dal Luzzi «atto accusatore», letteralmente significava «firma fatta di proprio pugno»1 (o di propria mano) e nei rapporti di affari era usata per indicare la firma apposta su un contratto, un’ipoteca o una dichiarazione di debito. Sotto la penna di Paolo, keirographon significa lista dei debiti. Noi siamo debitori insolvibili verso Dio (vedi Mt 18:23-25); Dio nella sua immensa misericordia ha condonato il nostro debito (vedi Mt 18:26, 27) e ha distrutto il documento della nostra obbligazione, che era un atto d’accusa contro di noi. E tutto questo è avvenuto perché un altro, Gesù Cristo, ha pagato per noi sulla croce. Il contesto immediato rivela che Paolo sta parlando della grazia di Dio che tramite Gesù ci ha perdonato: “…tutti i nostri peccati”, v. 13. Di conseguenza il “documento” del v. 14 non può che essere in relazione ai nostri peccati. L’apostolo usa in questo caso un’immagine per rappresentare l’atto salvifico operato da Cristo. Peccando l’umanità contrasse un “debito” con Dio, questo era registrato in questo documento – atto accusatore, immaginario. Gesù, morendo sulla croce, annulla questo documento d’accusa, offrendo il perdono dei peccati e riconciliando l’uomo con Dio. La menzione dei “comandamenti” al v. 14b non indica che il “documento accusatore” sia da questi costituito, ma evidenzia che la loro trasgressione permette al documento d’esistere. L’atto d’accusa è dunque costituito dal ricordo della trasgressione. É il peccato, conseguenza della disubbidienza alla legge, che accusa l’uomo, che gli è ostile, e non la legge che evidenzia il peccato e ne indica la soluzione. Il testo greco mostra questo aspetto in maniera evidente. Il termine “comandamento”, dogmasin, è al caso dativo e indica un complemento di causa. Il documento esiste dunque “a causa” [della nostra trasgressione] dei comandamenti.2 É il documento della nostra colpevolezza, non la legge, che Dio ha distrutto inchiodandolo alla croce. Con la morte di Cristo, Dio non solo ha estinto la nostra colpa, ma ha altresì trionfato sulle potenze cosmiche (principati e podestà) privandole di ogni dignità e potere e offrendole in pubblico spettacolo al mondo (v. 15). In breve, per intenderci, Paolo non sta dicendo che è la legge che è stata tolta di mezzo o annullata, diversamente entrerebbe in contraddizione con quanto egli afferma in Romani 3:31 e in 1 Corinzi 7:19, ma «il documento ostile», ovvero, il documento della nostra colpevolezza, vale a dire “l’ammenda”, sulla quale è dichiarato che abbiamo peccato contravvenendo i comandamenti. 1 E. Peretto, Lettere dalla prigionia, ed. Paoline, p. 149, 1976. 2 Per approfondimenti vedi: CARACCIOLO ANTONIO, Commento dell’epistola ai Colossesi, Quaderno n. 3 a cura del Messaggero Avventista dell’Istituto Avventista “Villa Aurora”, Firenze 1998. HUGEDE NORBERT, Commentaire de l’Epître aux Colossiens, Labor et Fides, Genève, 1968. PERETTO ELIO, Lettera ai Colossesi in Lettere dalla prigionia per la Nuovissima versione della Bibbia, Edizioni Paoline, Roma 1976, pp. 91-174. FANTONI GIOVANNI, Epistola di San Paolo ai Colossesi (Commento Pastorale), Istituto Avventista di Cultura Biblica, Villa Aurora (Fi), Anno accademico 1999 – 2000.
Past. Francesco Zenzale
Cristo la fine o il fine della legge?
Romani 10:4 è in una certa misura lo spartiacque per considerare il ruolo della legge all’interno della teologia di Paolo: Cristo abolisce o annulla la legge perché inutile ai fini della salvezza, oppure la porta a compimento, spiegandone il senso e lo scopo? La traduzione italiana dell’espressione: télos gar nómou Christòs, è stata tradotta in modo decisamente neutro… Non così, nelle nostre principali traduzioni italiane nelle quali si esprimono sostanzialmente due diverse tesi sul senso della parola télos. Per alcune traduzioni, télos avrebbe il senso di termine, cessazione, fine temporale… per cui, il Cristo, il Vangelo, costituirebbe l’abrogazione, l’estinzione della legge del Signore. Così la traduzione della Conferenza Episcopale Italiana (CEI, del 1972) e la Nuova Riveduta (NR, del 1994): «Ora, il termine della legge è Cristo, perché sia data la giustizia a chiunque crede» [CEI, 1972]. «Poiché Cristo è il termine della legge, per la giustificazione di tutti coloro che credono» [NR, 1994]. Se questo fosse il senso reale di télos, si dovrebbe ammettere la fine temporale e definitiva della Torah, il suo giungere al capolinea… da cui si dovrebbe concludere un’insanabile antitesi e rottura totale fra Torah e Vangelo… Cosa che, invece, fa a pugni con l’idea paolina secondo cui il Vangelo di Dio era già stato promesso dai profeti antichi nelle Scritture (A.T.), cfr. Rm 1:1-2, e quindi in rapporto di continuità e di superamento (fedeltà non a un freddo codice, ma a una persona, nuovo paradigma vivente dell’amore che è il compimento della legge). Ma non si spiegherebbe neppure un’altra dichiarazione di Paolo: «Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge» (3:31). Altre traduzioni, invece, intendono la parola télos come lo scopo, il fine, il culmine, secondo cui, il Cristo e il Vangelo, la sua buona notizia, costituirebbero l’obiettivo, il traguardo, la meta verso cui mirava la legge del Signore. Così la traduzione Nuovissima versione della Bibbia (NVB, del 1991 per N.T.) e la Nuova Diodati (ND, del 1991): «Infatti il culmine della legge è Cristo, per portare la giustificazione a ognuno che crede» [NVB, 1991].1 Questo vocabolo2 assume una molteplicità di sensi in rapporto sia al contesto del discorso in cui è usato, che alla costruzione grammaticale della frase. L’etimologia originale di télos, indica “il punto più alto”, il “punto di svolta” o “il punto cruciale”. Da questi sensi il vocabolo finì per designare “lo scopo”, “l’obiettivo” ; “il fine”, “il proposito”, “l’adempimento”, “la realizzazione”. Uno studio accurato di questo termine rivela che le nozioni di “abolizione, abrogazione, termine” sono assenti dal campo semantico di télos, come dei suoi derivati. Inoltre, un esame della costruzione grammaticale della frase télos nómou, “fine della legge”, può essere illuminante. Alla luce del greco biblico, della letteratura giudaica e di quella greca profana, è stato evidenziato che quando télos è usato con un nome al genitivo (complemento di specificazione – nel nostro caso, nómou, “della legge”) indica “realizzazione, “compimento”. Solo con espressioni che indicano tempo, télos può assumere il significato di “termine”, “fine”. In seguito a queste considerazioni etimologiche e sintattiche risulta evidente che “Cristo è fine della legge”, nel senso che ne è lo scopo, l’obiettivo, il fine come orientamento… Per Paolo Torah e Vangelo sono legati da un rapporto di complementarietà (Galati 3:21-24).3 1. AA.VV., Paolo l’ultimo Apostolo, cap. 6, Cristo la «fine» o il «fine» della legge, ed. Adv, Impruneta (Fi), 2006. 2. Télos deriva dalla radice tel che significa girare intorno (telos = timone, sterzo); originariamente esprime la svolta, la conclusione, il punto culminante, dove termina una misura e ne inizia un’altra; più tardi significò la meta, la fine. 3. Cf. R. BADENAS. “Christ the End of the Law: Romans 10:4 in Pauline Perspective” JSNT Supplement Series 10. Sheffield, JSOT Press. 1985. Una sintesi è riportata in “In che senso Cristo è fine della legge? Un’esegesi di Romani 10.4”. Adventus 1 (1988). pp. 15-31.
Past. Francesco Zenzale
La legge è stata abolita da Gesù?
«Un tale si avvicinò a Gesù e gli disse: «Maestro, che devo fare di buono per avere la vita eterna?» Gesù gli rispose: «Perché m’interroghi intorno a ciò che è buono? Uno solo è il buono. Ma se vuoi entrare nella vita, osserva i comandamenti». «Quali?» gli chiese. E Gesù rispose: «Questi: non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non testimoniare il falso. Onora tuo padre e tua madre, e ama il tuo prossimo come te stesso» (Mt 19:16-19). Nel corso della mia esperienza pastorale, ho incontrato molte persone di fede cristiana diversa dalla mia. Questi fratelli, affermavano che non bisognava più osservare i dieci comandamenti, perché Gesù li ha aboliti con la sua venuta, sostenendo che la cosa più importante è amare Dio e il prossimo, come giustamente ha indicato Gesù in Matteo 22: 36-40. «Maestro, qual è, nella legge, il gran comandamento?» Gesù gli disse: «”Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente”. Questo è il grande e il primo comandamento. Il secondo, simile a questo, è: “Ama il tuo prossimo come te stesso”. Da questi due comandamenti dipendono tutta la legge e i profeti». Indubbiamente, Gesù ha detto di amare Dio e il prossimo, ma che cosa significa, effettivamente, amare Dio e il prossimo? Che cosa esprimono i dieci comandamenti? Amare Dio significa osservare i primi quattro comandamenti perché ci permettono di avere una corretta relazione con Dio. Amare il prossimo, significa tenere conto degli ultimi sei comandamenti, che ci aiutano ad avere una serena relazione con il prossimo. Daniel Marguerat, professore di Nuovo Testamento, Facoltà di Teologia Università di Losanna, afferma quanto segue: «Si contrappone generalmente Gesù alla legge…, bisogna cominciare a demolire questa immagine. Gesù non ha mai rinnegato la Torà né sconfessato il decalogo. Come ogni ebreo, egli lo considerava come il depositario della santa volontà di Dio. Il vangelo di Matteo ne dà testimonianza: Gesù rimproverò anche i suoi contemporanei di misconoscere la forza di queste parole (Matteo 5, 21-48). «I dieci comandamenti sono dunque accolti da Gesù come la raccolta della santa volontà di Dio. Egli non li contraddirà mai, ma pone le condizioni di una corretta comprensione» (Daniel Marguerat, “Il mondo della Bibbia”, n° 1 Gennaio – Febbraio 2000, ed. ELLE DI CI, Leumann (TO). Infatti, Gesù ha dichiarato che la legge di Dio ha un valore eterno: «Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure un iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto. Chi dunque avrà violato uno di questi minimi comandamenti e avrà così insegnato agli uomini, sarà chiamato minimo nel regno dei cieli; ma chi li avrà messi in pratica e insegnati sarà chiamato grande nel regno dei cieli» (Mt 5: 17-19). Ha invitato il giovane ricco ad osservare la legge se voleva avere la vita eterna (Mc 10: 17-22) e ha chiaramente detto che l’amore verso di Lui si esprime correttamente mediante l’osservanza dei dieci comandamenti: «Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti … Se osservate i miei comandamenti, dimorerete nel mio amore; come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e dimoro nel suo amore» (Giv 14: 15; 15: 10). Pur avendo, con la sua morte, messo fine al regime legale dell’antica alleanza, Cristo ha proclamato con forza, mediante la vita e l’insegnamento, i principi eterni che sono alla base del decalogo. La sua missione era al tempo stesso quella di salvare l’umanità morendo per essa, e rivelare il carattere e la volontà del Padre suo: «Perché io non ho parlato di mio; ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha comandato lui quello che devo dire e di cui devo parlare… Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me» (Gv 12:49,50). Piena conformità nel pensiero e nell’azione: ecco ciò che caratterizza i rapporti tra il Padre e il Figlio. Come il Padre non ha annullato il codice morale, perché in lui «non c’è variazione né ombra di mutamento» (Gc 1:17); la stessa cosa possiamo dire del Figlio: «Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e in eterno» (Eb 13:8).
Past. Francesco Zenzale
La legge è stata abolita dagli apostoli?
«Non pensate che io sia venuto per abolire la legge o i profeti; io sono venuto non per abolire ma per portare a compimento. Poiché in verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, neppure uno iota o un apice della legge passerà senza che tutto sia adempiuto… È più facile che passino cielo e terra, anziché cada un solo apice della legge» (Mt 5:17,18; Lc 16:17). Cristo ha adempiuto la legge. Non l’ha abolita; anzi, l’ha esaltata, magnificata, evidenziandone la spiritualità e l’esistenzialità, liberandola dalle tradizioni con le quali i giudei l’avevano appesantita e l’ha elevata al di sopra del materialismo dei farisei che ne osservavano la lettera respingendone, però, lo spirito. A questo proposito il sermone sulla montagna è veramente significativo. Ma, molti sinceri cristiani affermano che i dieci comandamenti Gesù li ha annullati con la sua morte e risurrezione, e che abbia dato chiare indicazioni agli apostoli dopo la risurrezione. Quindi gli apostoli, essendo depositari nel nuovo patto, hanno insegnato, nello spirito di Cristo, che i dieci comandamenti non vanno osservati. Sarà vero? Ascoltiamoli! L’apostolo Paolo scriveva: «Annulliamo dunque la legge mediante la fede? No di certo! Anzi, confermiamo la legge» (Ro 3: 31). «La circoncisione non conta nulla, e l’incirconcisione non conta nulla; ma ciò che conta è l’osservanza dei comandamenti di Dio» (1 Co 7:19). L’apostolo Giovanni precisava: «Da questo sappiamo che l’abbiamo conosciuto: se osserviamo i suoi comandamenti. Chi dice: «Io l’ho conosciuto», e non osserva i suoi comandamenti, è bugiardo e la verità non è in lui» … «Da questo conosciamo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio e ne osserviamo i comandamenti, perché in questo consiste l’amore di Dio, nell’osservare i suoi comandamenti; e i suoi comandamenti non sono gravosi» (1 Gv 2: 3-4; 5: 2-3). Paolo, ispirato da Dio, afferma che grazie al sacrificio di Cristo e all’azione dello Spirito Santo, la legge d’amore di Dio sarà «scritta nei nostri cuori»: «E questa è l’alleanza che io stipulerò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: porrò le mie leggi nella loro mente e le imprimerò nei loro cuori; sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo» (Eb 8: 10). Inoltre sostiene che la legge è l’espressione del carattere di Dio, perché così come Dio è santo, buono è giusto, anche la legge è santa, giusta e buona: «Così la legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento» (Ro 7: 12). Secondo l’apostolo Giacomo, «Chiunque infatti osserva tutta la legge, ma la trasgredisce in un punto solo, si rende colpevole su tutti i punti. Poiché colui che ha detto: «Non commettere adulterio», ha detto anche: «Non uccidere». Quindi, se tu non commetti adulterio ma uccidi, sei trasgressore della legge» (Gc 2: 10-11). Giovanni, l’apostolo dell’amore, dichiara che il popolo di Dio degli ultimi giorni, avrà la fede in Cristo e osserverà i comandamenti di Dio: «Qui è la costanza dei santi che osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Ap 14: 12). In breve, essendo la volontà di Dio immutabile ed eterna, la sua legge, che ne è l’espressione stessa, è ugualmente immutabile ed eterna. Volerla modificare o abolire equivarrebbe a voler dissipare il carattere di Dio. Dio «non cambia» scrive il profeta Malachia (3:6); in lui «non c’è variazione né ombra di mutamento», precisa l’apostolo Giacomo (1:17). Di Dio sta scritto che: «Tutto quel che Dio fa è per sempre; niente c’è da aggiungervi, niente da togliervi» (Eccl 3:14). Egli stesso dichiara: «Non violerò il mio patto e non muterò quanto ho promesso» (Sl 89:34). «La legge è necessaria tra Dio e le sue creature; la legge è essenziale alla nostra natura morale, in quanto la nostra coscienza dice a noi tutti che abbiamo dei doveri e che siamo fatti per obbedire; la legge è eterna come i nostri rapporti con Dio e come Dio stesso; la legge è la verità nell’ordine morale: ora la verità può essere abolita?» (Alessandro Vinet).
Past. Francesco Zenzale
Qual è il segreto della felicità?
E Mosè: «Oh, avessero sempre un simile cuore da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, affinché venga del bene a loro e ai loro figli per sempre! … camminate in tutto e per tutto per la via che il SIGNORE, il vostro Dio, vi ha prescritta, affinché viviate e siate felici e prolunghiate i vostri giorni nel paese che voi possederete» (Deut 5: 29, 33). Un pastore racconta: «Ho tenuto accuratamente per circa un anno il bozzolo di una farfalla chiamata saturnia o pavone di notte. Questo bozzolo molto singolare ha la forma di una pera con un’apertura molto stretta al collo. Quando l’insetto perfetto è pronto per uscire, si fa strada attraverso questo passaggio senza che alcuna ferita o la minima graffiatura si provocano sulle sue fibre. Assistevo agli sforzi fatti dall’insetto per liberarsi. Per tutta una mattinata, ne osservai i progressi; il povero insetto sembrava lottare invano. Ad un certo punto mi credetti più saggio e compassionevole del suo Creatore. Con le forbici aprii con delicatezza il passaggio. E la farfalla uscì, col corpo ben turgido e le ali tutte rattrappite, la guardavo con attenzione, sperando di ammirare il magnifico insetto spiegare le ali multicolori. Invano, esso rimase un aborto e non visse a lungo». Conosco tante persone, giovani e meno giovani, con le ali rattrappite, incapaci di volare e di essere felici, perché la loro vita era vissuta come un aborto. Avevano cercato di spiccare il volo, ma avendo bruciato le tappe della vita, erano rimasti frustrati ed infelici. Avevano un’idea sbagliata della vita ed erano centrate su se stesse, nella ricerca affannosa di soddisfare i loro bisogni, violando i principi morali del sano vivere, come il rispetto dell’altro, di se stessi, ecc. Ho capito che la felicità ricercata nella soddisfazione del proprio egoismo, trascurando il fare ciò che è giusto agli occhi di Dio e non ciò che piace, è volubile, passeggera e lascia nell’animo un senso di vuoto e di amarezza; stare dalla parte di Dio, invece, assicura gioia e soddisfazione. Scriveva, Friedrich Nicolovius, «La felicità è la conseguenza dell’osservanza del dovere» e che «la legge deve precedere il piacere, perché esso venga percepito» (Königsberg 1797, p. 8). Prima ancora di F. Nicolovius, il profeta Isaia scriveva: «L’opera della giustizia sarà la pace e l’azione della giustizia, tranquillità e sicurezza per sempre» (Is 32: 17). E Mosè: «Oh, avessero sempre un simile cuore da temermi e da osservare tutti i miei comandamenti, affinché venga del bene a loro e ai loro figli per sempre! … camminate in tutto e per tutto per la via che il SIGNORE, il vostro Dio, vi ha prescritta, affinché viviate e siate felici e prolunghiate i vostri giorni nel paese che voi possederete» (Deut 5: 29, 33). I credenti fedeli sono definiti nell’Apocalisse come coloro che con costanza «osservano i comandamenti di Dio e la fede in Gesù» (Ap 14:12). Le “dieci parole” del Sinai restano un punto di riferimento fondamentale con cui anche la morale laica deve fare i conti. Ogni cosa nell’universo risponde a delle leggi; la vita fisica stessa si regge su leggi immutabili. Ma il nostro vivere abbraccia anche valori non materiali: intelligenza, bellezza, volontà, etica, spiritualità. E anche questi valori hanno le loro leggi. Solo Dio, che ci ha creati, conosce le leggi che ci permettono di vivere in armonia con lui, con il suo progetto, con il prossimo e con la natura. La Bibbia afferma che il nostro malessere morale deriva proprio dalla volontà di sottrarci alle leggi che Dio ha donato e che sono espressione del suo carattere; fra di esse i dieci comandamenti sono i più importanti. L’apostolo Paolo, richiamandosi al profeta Geremia scrive: «Questo è il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo» (Eb 8:10 ). La legge è dunque un dono divino e come tale va accolta e vissuta. Grazie ad essa comprendiamo noi stessi, i nostri ambiti, i nostri obblighi morali, vediamo i nostri limiti e le nostre colpe. Inoltre, essa è come uno specchio che ci propone continuamente l’esigenza del perdono divino. L’ubbidienza alla volontà di Dio è frutto della grazia e della “nuova nascita”. Chi si sente salvato dal Signore sa che il suo privilegio è quello di essergli fedele e che la sua felicità è legata all’armonia con i suoi insegnamenti.
Past. Francesco Zenzale
Qual è il significato esistenziale della legge di Dio?
«Insegnami, o SIGNORE, la via dei tuoi statuti e io la seguirò sino alla fine. Dammi intelligenza e osserverò la tua legge; la praticherò con tutto il cuore. Guidami per il sentiero dei tuoi comandamenti, poiché in esso trovo la mia gioia. Inclina il mio cuore alle tue testimonianze e non alla cupidigia. Distogli gli occhi miei dal contemplare la vanità e fammi vivere nelle tue vie» (Sl 119:33-37). É difficile rendersi conto dell’importanza dei dieci comandamenti nella nostra cultura così individualista e secolarizzata, imbevuta di errati concetti di vita e intrisa dalla volontà di piacere e di potenza, più che di significato riferito a valori eterni e inalienabili. I dieci comandamenti, esprimono ciò che ci permette di convivere nella pace, ispirano il nostro desiderio di vivere all’interno dell’amore di Dio, si collegano al fondamento morale ed esistenziale della vita: amore, rispetto, verità, ecc. Presentano i tratti fondamentali dell’intera esistenza individuale e comunitaria: il vicino, il sesso, la vita, la felicità, la morte. Le dieci parole hanno un valore inesauribile per l’esistenza umana. Sono state trasmesse da Dio come espressione del suo carattere e del suo amore. Con ragione, l’apostolo Paolo, afferma che «la legge è santa, e il comandamento è santo, giusto e buono» (Rm 7:12). Il salmista evidenzia che «la legge del SIGNORE è perfetta, essa ristora l’anima; la testimonianza del SIGNORE è veritiera, rende saggio il semplice» (Sal 19:7). Gesù Cristo l’ha esalta ed ha chiaramente affermato che non deve essere violata (Is 42:21; Mt 5:17-19). Giacomo, l’apostolo ci invita a parlare e agire: «come persone che devono essere giudicate secondo la legge di libertà» (Gc 2:10-12). «Legge di libertà» e non di schiavitù per chi sceglie di vivere nell’ambito dell’amore di Dio che si esprime nel dono delle “dieci parole”. Quando tralasciamo di prendere in seria considerazione l’amore di Dio, il quale ci invita ad osservare i suoi comandamenti (1Gv 5:3), rischiamo di collocare la salvezza nella sfera emotiva o di idealizzarla, tale da perdere il contatto con la realtà stessa di Dio: della sua misericordia e del suo carattere e vivere nell’illusione di essere salvati. Dio desidera la nostra redenzione e felicità, ed è per questo che, mediante la potenza dello Spirito Santo, vuole imprimere la sua legge nei nostri cuori, nella nostra sfera affettiva: «Questo è il patto che farò con la casa d’Israele dopo quei giorni, dice il Signore: io metterò le mie leggi nelle loro menti, le scriverò sui loro cuori; e sarò il loro Dio, ed essi saranno il mio popolo» (Eb 8:10). «Venga su di me la tua compassione, e vivrò; perché la tua legge è la mia gioia» (Sl 119:77). La legge di Dio, quindi, regola in anticipo l’uso della terra promessa, in modo che la sua osservanza garantisca a tutti la vita, la libertà e la felicità. Sono dieci parole per uno stile di vita coerente, non solo in rapporto alla volontà di Dio, ma anche alle più nobili aspirazioni dell’uomo.
Past. Francesco Zenzale
Che rapporto esiste tra la legge, il peccato e la salvezza?
La svolta nel cuore del credente avviene grazie all’azione dello Spirito Santo, che convince l’uomo «quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio» (Gv 16: 8). Pertanto, l’urgenza di un Salvatore cresce in noi quando siamo convinti di «peccato», avverso al carattere di Dio rivelato nella sua legge, espressione del suo amore. Essendo il peccato anche «la violazione della legge di Dio» (1 Gv 3: 4), l’’uomo non avrebbe «conosciuto il peccato se non per mezzo della legge». Paolo confessa: «Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: “Non concupire”. Ma il peccato, colta l’occasione, per mezzo del comandamento, produsse in me ogni concupiscenza; perché senza la legge il peccato è morto» (Rm 7: 7-8). La «conoscenza del peccato» suscita quel sano senso di colpa che è alle origini del percorso salvifico. L’apostolo Paolo fa presente, che la legge è il nostro «pedagogo» per condurci a Cristo (Gal 3: 24). È sorprendete quello che l’apostolo cerca di trasmettere ai credenti. Da una parte stabilisce un legame fra la legge e peccato, dall’altra crea un’interdipendenza tra la legge e Cristo. Il peccato esiste perché c’è la legge e se l’umanità attraverso essa trova la morte, ciò non dipende dalla legge in sé. Questa infatti viene da Dio, fa parte della sfera divina e non umana, e pertanto reca l’impronta di Dio: la legge è spirituale e quindi «santa, buona e giusta» (Rm 7: 12-14). Mediante l’azione dello Spirito Santo, la legge, diventa il nostro istitutore per condurci a Cristo per essere disinfettati o perdonati dal peccato (Eb 9: 14). Scrive R. Rice, «Come modello immutabile di giustizia, la legge definisce e condanna il peccato. Senza la legge non avremmo conosciuto cos’è il peccato (Rm 7:7,13; cf. 1 Gv 3:4). É la legge a far sì che il peccato sia peccato. Ma, rivelando il carattere del peccato, la legge condanna pure il peccatore mostrando che merita di morire. Ironicamente, dunque, ciò che è originalmente e fondamentalmente fonte di vita diventa strumento di morte nelle mani del peccato. Come Paolo dice, “il comandamento ch’era inteso a darmi vita, risultò che mi dava morte” (Rm 7:10). Poiché il peccato distrugge la capacità di osservare la legge, la legge non costituisce per il peccatore un mezzo per diventare giusto. Essa rivela che c’è un problema molto serio, ma non offre alcuna soluzione (Rm 3:20). Ci lascia semplicemente con una condanna a morte pendente sul nostro capo. Questo spiega perché Paolo fosse così preoccupato quando dei credenti si volgevano alla legge nel loro tentativo di guadagnare la salvezza (cf. Gal 3:1-3). Essi cercavano di essere salvati da qualcosa che avrebbe potuto soltanto condannarli (cf. 1 Cor 15:56). La salvezza deve giungere da una fonte diversa dalla legge. E cosi è. In Gesù Cristo, la giustizia di Dio si manifesta “indipendentemente dalla legge” (Rm 3:21)». (R. Rice, “The Reign of God”, p. 183). In beve, la legge è unità a Cristo non solo per la sua natura divina (Gv 1: 1-2; 8: 58), ma anche per il ruolo che ha nell’ambito della salvezza. Infatti, Cristo è morto perché la legge è stata violata, conseguentemente e in tutta semplicità, possiamo affermare che a causa del peccato dell’uomo, non c’è legge senza croce e non c’è croce senza legge.
Past. Francesco Zenzale
Come deve essere accetta e osservata la legge di Dio?
Gesù Cristo è il cuore del cristianesimo. Il più significativo atto di Dio nella storia dell’uomo è Gesù Cristo. La vita, la morte e la risurrezione di Cristo costituiscono la rivelazione completa del carattere di Dio che è amore (1 Gv 4:8). Senza alcun dubbio il Nuovo Testamento presenta Gesù Cristo come evento dell’adempimento messianico, ma egli è qualcosa di più che un semplice adempimento profetico: è il Figlio di Dio, la perfetta rivelazione della personalità di Dio. In Gesù Cristo abita tutta la pienezza della Divinità (Col 2:9; Gv 1:18 ). Pertanto, Gesù Cristo è la «nuova creazione», il nuovo esodo, il nuovo esilio, il nuovo Mosè, il nuovo Adamo, il nuovo Davide, il nuovo Elia, il nuovo Israele, la nuova alleanza (Lc 1:35; Mt 3; 4; Rm 5:1-12; Gv 13:18; 6; Mt 26:28,29). Dalla stipula di ogni alleanza dell’Antico Testamento scaturirono anche delle leggi; la nuova alleanza del Nuovo Testamento non ha a che fare con la legge o un codice, ma con una persona: Gesù Cristo. Legge e alleanza, nell’Antico Testamento, erano collegate ma distinte, Gesù invece è sia legge sia alleanza. Compiendo tutte le promesse dell’AT, Gesù non solo le adempì in modo appropriato, ma più importante ancora è che egli divenne la promessa. Il vangelo di Giovanni in modo così meraviglioso spiega, che Gesù non è solo colui che dà pane, acqua, luce o vita, ma che è egli stesso pane, acqua, luce e vita (Gv 6:7). Egli non è solo l’insegnante di una nuova via, ma egli è la via. Egli è ciò che dà, è la legge incarnata. Ciò significa che la base fondamentale dell’ubbidienza non è più la legge, ma la persona di Gesù. È lui il nuovo punto di riferimento nella storia di salvezza. Questo significa che le leggi di Dio possono essere osservate solo in Gesù Cristo. Sul monte delle beatitudini, il nuovo monte Sinai, in Matteo 5 è scritto ripetutamente: «Voi avete udito che fu detto, ma ora io vi dico» (Mt 5:27-43). In ognuno di questi «ma io vi dico» Gesù non fa solo da cassa di risonanza alle leggi dalla Torah, ma le radicalizza e le incastona in un contesto totalmente nuovo, molto più esigente e qualche volta completamente diverso da quello delle leggi precedenti. Per esempio, i comandamenti che vietano l’assassinio o l’adulterio sono rispettivamente espanse all’odio e alla concupiscenza (Mt 5:27). La legge del taglione basata sul principio «occhio per occhio» e l’odio per il nemico sono completamente abrogate (Mt 5:33-44). La regola che permetteva il divorzio è essenzialmente annullata (Mt 5:31-32). L’apostolo Paolo scrive: «Voi siete in Cristo Gesù, che da Dio è stato fatto per noi sapienza, ossia giustizia, santificazione e redenzione; affinché com’è scritto: “Chi si vanta, si vanti nel Signore”» (1 Cor 1:30-31). Past. Francesco Zenzale