“Non giudicare”, comanda la legge. Nonostante questo, è impossibile evitare qualsiasi giudizio. Se mi domandassero delle informazioni su un ragazzo che sogna di essere casellante e che io so essere sempre in ritardo, mi sarebbe difficile mantenere il silenzio. Qualcuno potrebbe rimproverarmelo, il giorno in cui il passaggio a livello restasse aperto all’arrivo del treno.
Un tale silenzio sarebbe vigliaccheria. E allora che fare? Tacere e rifiutare di far conoscere una verità che deve essere conosciuta? Oppure parlare e, perciò, giudicare? è un dilemma talvolta difficile da risolvere. I fatti sono fatti. Io non saprei dissimularli a chi deve conoscerli. E non si tratta di giudicare ma soltanto di rivelarli quando delle gravi ragioni esigono che lo siano.
Giudicare è altra cosa: è pretendere di misurare il grado di responsabilità.
Ora lì, noi tocchiamo il mistero dell’uomo. Qual è il peso della sua eredità, delle influenze che si esercitano su lui, delle paure delle quali deve subire l’influsso, e di tante altre cose che sfuggono alla nostra conoscenza?
Non appartiene che a Dio il misurare il grado di responsabilità di ciascuno di noi. E, dunque, il giudicare.
G. Juvet Minute oecumenique