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Dare un nome vuol dire rivelare

Quando il nostro Signore insegnava ai suoi discepoli come pregare, l’unico
nome con cui insegnò loro ad indirizzarsi a Dio fu “Padre nostro
che sei nei cieli” (Matteo 6:9). Questo sicuramente significava che noi
dovevamo pensare a Lui soltanto in questa luce. Da allora milioni di volte,
durante tutti i secoli, questo nome è stato pronunciato dai figli
di Dio ovunque e tuttavia è stato enormemente mal compreso. Se
tutti quelli che hanno usato questo nome avessero saputo cosa significava
veramente, non si sarebbero insinuate nei secoli le rappresentazioni sbagliate
del suo carattere e i dubbi che hanno avuto i suoi figli.

Tirannia, sgarbatezza e negligenza si potrebbero forse attribuire a un
Dio che è solo un re, un giudice o un legislatore; ma di un Dio
che è prima di ogni altra cosa un padre e, dato che è Dio,
un buon padre, non si possono credere cose simili.

È inconcepibile che un buon padre possa dimenticare, trascurare
o essere volutamente ingiusto verso i propri figli. Un padre sgarbato
o malvagio potrebbe, ma un buon padre mai!

Nel chiamare il nostro Dio con il nome benedetto di padre, dobbiamo ricordare
che se Egli è veramente padre, deve essere per forza il migliore
dei padri, e che la sua paternità raggiungerà il più
alto ideale di paternità che possiamo immaginare. È una
paternità che combina sia il padre sia la madre in uno. Comprende
tutto l’amore, la tenerezza, la compassione, lo struggimento e il sacrificio
di sé che è alla base dell’essere genitori, anche se, forse,
non lo vediamo sempre rappresentato nei genitori terreni.

Hannah W. Smith (traduzione di Alessia Venturoli)