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Daniele in breve. Visione d’insieme (capitolo 7)

Francesco Zenzale – “Nel primo anno di Baldassar, re di Babilonia, Daniele fece un sogno, mentre era a letto, ed ebbe delle visioni nella sua mente. Poi scrisse il sogno e ne fece il racconto” (Dn 7:1).

Con il capitolo 7 inizia la seconda parte del libro di Daniele. I primi sei capitoli sono narrativi, gli ultimi sei sono profetici, precisamente apocalittici.

Le visioni, o sogni, sono accordate alla fine dell’impero babilonese, sotto la reggenza di Baldassarre, e nel corso dell’impero medo-persiano, sotto i re: Dario, figlio di Serse; Ciro; e Dario il medo.

Queste hanno come base strutturale la visione del secondo capitolo: la grande statua formata di diversi metalli, che aveva fortemente angosciato il re Nabucodonosor. Infatti, è possibile cogliere un’espressiva simmetria. In Daniele 2, i quattro metalli sono esposti in modo decrescente in relazione al loro valore: oro, argento, rame e ferro. Così avviene anche in Daniele 7. Le quattro bestie, leone, orso, leopardo e un osceno mostro, evidenziano un’acutizzazione etico-spirituale. Il fluire di ciò che rappresentano queste quattro bestie, e il particolare del piccolo corno, è caratterizzato da un distacco da ciò che è raffigurato sulla terra, per poi descrivere una realtà inafferrabile e terrificante dal punto di vista umano, come il drago di Apocalisse 12.

Nell’ottavo capitolo, la profezia inizia con l’impero medo-persiano, perché quello babilonese è ormai passato. In essa si evidenziano un montone e un capro. Da quest’ultima bestia spuntano in primo luogo quattro corna e poi un quinto dall’aspetto feroce, che riproduce l’azione violenta dell’undicesimo corno di Daniele 7. Anche in questa visione, dai connotati religiosi, è possibile riscontrare l’inasprimento di un’attività umana violenta, che vie più s’allontana dalla terra per arrivare fino al cielo (Dn 8:9-12).

La visione dell’undicesimo capitolo aggiunge indicativi particolari alle precedenti visioni. Essa è stata accordata sotto il regno medo-persiano. I personaggi che caratterizzano i regni summenzionati non sono rappresentati da bestie feroci o da animali domestici, ma narrati per le loro azioni, senza che siano nominati. Ciò significa che, in alcuni testi biblici, si riscontra maggiore difficoltà interpretativa, comunque si può cogliere la loro attività persecutoria nei confronti dei figli di Dio e il loro defluire verso il giudizio.

È interessante notare che, nel capitolo 2, i regni e gli imperi sono rappresentati da metalli che fluiscono nell’inconsistenza: argilla e ferro. La statua nel suo insieme è praticamente polverizzata. Lo stesso vale per le quattro bestie e per l’undicesimo corno (o piccolo corno) del capitolo 7 (Dn 7:11-12, 26).

Osserviamo che nell’ottavo capitolo i regni sono raffigurati da animali domestici, il montone e il capro, che richiamano la nostra attenzione sui sacrifici offerti nel santuario. L’evoluzione del capro ci offre la possibilità da capire come l’aspetto religioso a esso associato si evolve: prima quattro corna, poi un corno che s’ingrandisce sempre più e che riverbera, nella sua azione, il corno blasfemo della quarta bestia del precedente capitolo.

Il motivo per cui i regni sono rappresentati con differenti modalità preconizza una significativa contrapposizione. Da una parte riscontriamo la prospettiva terrena. La moralità e la grandezza di un regno o di una persona sono stimate in base alla ricchezza, la quale è avvertita come benedizione di Dio o delle divinità. Dall’altra, nei capitoli 7 e 8, notiamo la prospettiva celeste, in altre parole come Dio qualifica la natura umana e i regni prefigurati che vie più si allontanano da lui.

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