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Daniele in breve. La saggezza divina non si vende né si compra

Francesco Zenzale – “A voce alta il re gridò che si facessero entrare gli incantatori, i caldei e gli astrologi, e il re disse ai saggi di Babilonia: ‘Chiunque leggerà questo scritto e me ne darà l’interpretazione sarà vestito di porpora, porterà una collana d’oro al collo e sarà terzo nel governo del regno’. Allora entrarono tutti i saggi del re, ma non furono capaci di leggere lo scritto né di darne l’interpretazione al re” (Dn 5:7-8).

Il re, tutto tremante, cerca invano di decifrare le lettere di fuoco, disperato e intimamente angosciato, promette ricche ricompense ai saggi del suo regno o a chi avrebbe saputo leggere quelle infuocate parole. Eccoli, ancora una volta, i caldei, gli astrologi, i maghi e gli indovini. Pronti per ogni eventualità a soddisfare la sete del sapere e l’inquietudine. Ma l’appello resta inadempiente, perché la saggezza divina non si vende né si compra.

Nel secondo capitolo del libro di Daniele, i savi di Babilonia non riescono a rivelare il sogno di Nebucodonosor e a darne l’interpretazione. Nel quarto capitolo, i medesimi non sono in grado di spiegare il significato del sogno, sebbene il re lo abbia ben illustrato. Nel capitolo cinque sono addirittura incapaci di leggere le parole sul muro, benché siano scritte in modo visibile. Vendevano solo sogni e illusioni!

In fondo erano uomini! Non avevano nulla di eccezionale, di sovrumano se non nella loro fantasia e in chi credeva che possedessero particolari doti divinatorie.

L’uomo cerca risposte sul suo esistenziale affanno e, dimentico che la saggezza divina non si vende né si compra, si rivolge ai suoi simili con la pretesa di ottenere delle indicazioni circa il suo vivere e il suo destino.

L’unico che conosce il futuro è l’autore del futuro. Pertanto il solo modo per conoscere realmente il domani è rivolgersi a chi l’ha narrato in anticipo nelle Scritture. “C’è un Dio nel cielo che rivela i misteri” (Dn 2:28; cfr. Amos 3:7) del nostro vivere. Astrologia e occultismo fallirono al tempo di Daniele, falliscono oggi e falliranno in futuro. É come inseguire un miraggio.

Immagina che in fondo al cuore ci sia una coppa. Non è di porcellana, d’argento o d’oro. Si tratta di una coppa di sentimenti ed emozioni, che una volta riempita dà valore alla vita. La chiamo “coppa dell’amore”. Essa misura il nostro livello di soddisfazione e il nostro benessere psicologico. Quando la nostra coppa è quasi vuota, non ci sentiamo amati, siamo confusi, insoddisfatti e avvertiamo la dolorosa percezione di non esistenza. Una coppa vuota produce effetti negativi, fra i tanti quella di cercare di riempirla d’illusioni. E, come il re della nostra riflessione, ci rivolgiamo a chi vende sogni.

Ma perché spendere del denaro per ciò che ci lusinga, e il frutto delle nostre fatiche per ciò che non sazia il cuore? (cfr. Is 55:2). Ascoltiamo attentamente il Signore. Egli può entrare in un cuore devastato dalla solitudine e dall’amarezza, mutando il nostro dolore in danza. Se proviamo un grande vuoto, chiediamo a Dio di colmarlo ed egli lo farà sicuramente (Sl 23).

“Tu hai mutato il mio dolore in danza; hai sciolto il mio cilicio e mi hai rivestito di gioia” (Sl 30:11).

Per saperne di più: assistenza@avventisti.it

(Immagine: Fernando Monzio Compagnoni, La Mano che Scrive)