Francesco Zenzale – “Quando Daniele seppe che il decreto era firmato, andò a casa sua; e, tenendo le finestre della sua camera superiore aperte verso Gerusalemme, tre volte al giorno si metteva in ginocchio, pregava e ringraziava il suo Dio come era solito fare anche prima. Allora quegli uomini accorsero in fretta e trovarono Daniele che pregava e invocava il suo Dio. Poi si recarono dal re e gli ricordarono il divieto reale: ‘Non hai tu decretato che chiunque per un periodo di trenta giorni farà una richiesta a qualsiasi dio o uomo tranne che a te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni?’. Il re rispose e disse: ‘Così ho stabilito secondo la legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile’. Allora quelli ripresero la parola e dissero al re: ‘Daniele, uno dei deportati dalla Giudea, non tiene in nessun conto né te, né il divieto che tu hai firmato, o re, ma prega il suo Dio tre volte al giorno’. Udito questo, il re ne fu molto addolorato; si mise in animo di liberare Daniele e fino al tramonto del sole fece di tutto per salvarlo. Ma quegli uomini vennero tumultuosamente dal re e gli dissero: ‘Sappi, o re, che la legge dei Medi e dei Persiani vuole che nessun divieto o decreto promulgato dal re venga mutato’” (Dn 6:10-15).
Il cuore predilige la pace, soprattutto all’età di ottanta anni; ma quale pace? Quella sociale, politica, religiosa o quella che fruisce dalla dolce presenza di Dio «principe della pace?» (Is 9:5). Indubbiamente, la pace interiore che Gesù (cfr. Gv 14:27) ci dona è superiore rispetto a quella che gli uomini possono offrirci. Quella del mondo è vissuta nel segno del compromesso socio-culturale-religioso ed è contrassegnata dall’altrui dipendenza. Ciò significa che non si è mai sazi nell’animo. Pertanto, è una pace debilitante che per raggiugerla devi veleggiare sempre sulla cresta dell’onda, adeguandoti al ceto sociale cui si desidera appartenere. Quella divina è intensa, intima e permette di essere sé stessi in relazione a Dio e agli uomini (cfr. Is 26:3-4).
Daniele voleva bene a Dario, ma nel suo cuore Dio era al primo posto. Era il centro della sua stessa vita. E, anche quando scoprì il tranello, il modo in cui il re fu intrappolato, senza alcuna esitazione scelse i sentieri divini e non esitò un istante a disubbidire agli ordini del re che imponevano di rivolgere preghiere solo a lui. A finestre spalancate e ad alta voce, per tre volte al giorno, pregava per i suoi nemici, per il re e rendeva grazie a Dio, al prezzo della propria vita.
Indubbiamente, l’esperienza religiosa di Daniele non era superficiale, intermittente. Egli non pregava in modo discontinuo: un giorno sì e uno no! Serviva Dio “del continuo”, è la testimonianza che il re Dario rende a Daniele (Dn 6:10). Un’esperienza costante e regolare, dettata da un cuore ricolmo di gratitudine.
Daniele affrontò le difficoltà e la “fossa dei leoni”, con fiducia. La sua vita era incessantemente legata a Dio, così come respiriamo “costantemente e regolarmente” l’aria che ci circonda. Daniele non era una persona accomodante, non alterò il suo rapporto con Dio. E noi?
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