Francesco Zenzale – “Alla fine di quei giorni, io, Nabucodonosor, alzai gli occhi al cielo e la ragione tornò in me. Benedissi l’Altissimo, lodai e glorificai colui che vive in eterno: il suo dominio è un dominio eterno e il suo regno dura di generazione in generazione. Tutti gli abitanti della terra sono un nulla davanti a lui; egli agisce come vuole con l’esercito del cielo e con gli abitanti della terra; e non c’è nessuno che possa fermare la sua mano o dirgli: ‘Che fai?’ In quel tempo la ragione tornò in me; la gloria del mio regno, la mia maestà e il mio splendore mi furono restituiti; i miei consiglieri e i miei grandi mi cercarono, io fui ristabilito nel mio regno e la mia grandezza fu superiore a quella che avevo prima. Ora io, Nabucodonosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo, perché tutte le sue opere sono vere e le sue vie giuste, ed egli ha il potere di umiliare quelli che procedono con superbia” (Dn 4:34-37).
Come Nabucodonosor, anche noi “alla fine”, dopo aver attraversato chissà quali dolorose esperienze e infinite riflessioni, alziamo gli occhi al cielo, riconoscendo che l’unica via di salvezza o di guarigione per la nostra sbriciolata esistenza è Dio. Quel Dio discusso, beffeggiato, incompreso e così apparentemente lontano, che rimane nel silenzio pur avendolo pregato incessantemente, alla fine conquista i nostri cuori. E solo allora riconosciamo che non siamo “nulla davanti a lui”, che “egli agisce come vuole” e perciò non possiamo manipolarlo o “fermare la sua mano e dirgli: che fai?” come se fosse un pari o una delle tante divinità che possiamo asservire ai nostri desideri.
Nel secondo capitolo, Nabucodonosor manifesta un certo disappunto quando Daniele, per rivelazione divina, gli fa presente che il suo regno sarà spazzato via. Questa contrarietà, dopo qualche anno, lo persuade a costruire una statua tutta d’oro a sua immagine e somiglianza (Dn 3). Una sfida in cui contrappone se stesso e il suo regno alla persona e al regno di Dio. E nonostante la “spettacolare” liberazione dei compagni di Daniele, il suo sclerotico pensiero persiste.
Finalmente, nel quarto capitolo e dopo circa 25 anni (il re ha ormai 60 anni), riconosce che il suo regno sarà distrutto, così come tutti gli atri regni che lo seguiranno. Aveva capito che Dio ha l’ultima parola e che solo il suo regno è eterno. È vero che gli è restituito “tutto” con maggiore splendore, ma sa che finirà. E quei pochi anni che vive ancora sono di gran lunga migliori rispetto ai precedenti, perché ha imparato ad amare Dio con umiltà. “Ora io, Nabucodonosor, lodo, esalto e glorifico il Re del cielo, perché tutte le sue opere sono vere e le sue vie giuste, ed egli ha il potere di umiliare quelli che procedono con superbia” (Dn 4:37).
Per saperne di più: assistenza@avventisti.it