Francesco Zenzale – “Si innalzò fino al capo di quell’esercito, gli tolse il sacrificio quotidiano e sconvolse il luogo del suo santuario” (Dn 8:11).
L’attività del piccolo corno si esercita nel confronti del “capo di quell’esercito”, ovvero di Cristo, privandolo del tamîd. Il testo ebraico dice: Umimmennû hûraym hattamîd. Letteralmente: “e a lui fu tolta la perpetuità!”, vale a dire ciò che è continuo, quotidiano, che non può essere interrotto.
Nel santuario si compivano molteplici atti liturgici che si richiamano al tamîd. Ad esempio, il mantenimento del fuoco sacro sull’altare dei sacrifici (Lv 6:5-6), delle luci del candelabro (Lv 24:2; Es 27:20-21), la sostituzione settimanale dei pani di presentazione nel tabernacolo (Lv 24:5-8), il servizio dei sacerdoti davanti all’arca dell’alleanza (1Cr 16:37). Tutte queste azioni richiedevano continuità, cioè tamîd.
Ma il tamîd era sostanzialmente messo in relazione con l’olocausto quotidiano, Olad tamîd. Gli aspetti che contraddistinguono questo importante sacrificio sono: il concetto di riconciliazione e di espiazione (Lv 1:1-8; 1 Cr 21:22 30), quello di comunione e di consacrazione (2 Sam 6:17-18; 1 Re 8:64). A differenza degli altri sacrifici, la vittima sacrificale era bruciata per intero, il fumo s’alzava a Dio come “odor soave” (Lv 1:9, 13,17; Nm 28:1-8). In greco, la parola olocausto (holòkaustos) significa “bruciato interamente”; la parola è composta da holos (tutto, intero) e kàiō (bruciare).
Un altro aspetto da non sottovalutare, in stretta relazione con l’ottavo capitolo di Daniele, è che l’Olad tamîd veniva offerto al Signore ogni giorno, al mattino e alla sera. La sua importanza è ulteriormente evidenziata dal fatto che nel giorno del sabato, tempo di consacrazione e comunione con il Signore per eccellenza, questo sacrificio doveva essere raddoppiato (Nm 28:9,10). In quel giorno non doveva essere offerto nessun altro sacrificio (cfr. Enciclopedia Giudaica, voce «Sacrificio»,col 600, cfr. anche coli 609,610; cfr. S.D.A. Bible Commentary, vol. IV, pp 812, 851; vol. 1, p 656).
Gli aspetti evidenziati mobilitano la nostra attenzione su Gesù Cristo. Il Nuovo Testamento e in particolare la Lettera agli Ebrei affermano che il complesso sistema cultuale ebraico, soprattutto l’Olad tamîd, prefigurava l’opera e la persona di Gesù, in qualità di vittima e sommo sacerdote (Eb 2:14-18; 4:14-15; 5:1-11; 7:26). In altre parole Gesù è per noi giustizia, santificazione e redenzione (1 Cor 1:30-31).
Come vittima, egli è esplosione di vita per l’umanità, perché “Dio ha tanto amato il mondo, che ha dato il suo unigenito Figlio, affinché chiunque crede in lui non perisca, ma abbia vita eterna” (Gv 3:16). Gesù Cristo si offrì in olocausto per la redenzione degli uomini. Il suo sacrificio è un tamîd, vale a dire per sempre e non rinnovabile (Eb 10: 1-4). Come Sommo sacerdote, Gesù, alla destra di Dio, ci accompagna nel lungo e faticoso percorso della vita, nell’attesa della beata speranza e rende possibile, anche se virtualmente, la gioia di essere al cospetto di Dio (Ef 2:4-6). Come il suo sacrificio, il suo sacerdozio è unico e irripetibile, perché egli è Sommo sacerdote in eterno, secondo l’ordine di Melchisedec (Eb 6:20; 7:21).
Avendo definito il significato del “sacrificio quotidiano”, è possibile cogliere in che cosa consiste l’attività del piccolo corno. Togliere a Cristo ciò che gli appartiene, precisamente il suo essere olocausto e Sommo sacerdote. In altre parole, il potere ostile a Dio attua un sistema teologico-redentivo e un rituale in totale contrasto con l’opera redentrice di Cristo.
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