Francesco Zenzale – “Egli venne dove io ero e quando giunse, io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: ‘Figlio dell’uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine’. Mentre egli parlava con me, caddi svenuto con la faccia a terra; ma egli mi toccò e mi fece alzare […] Io, Daniele, rimasi sfinito e mi sentii male per vari giorni: poi mi alzai e sbrigai gli affari del re: ma ero stupefatto della visione perché non la potevo comprendere” (Dn 8: 16-27).
La visione dell’ottavo capitolo è straordinariamente dolorosa per un uomo con una sensibilità spirituale senza eguali. Dopo l’umiliazione da esiliato, il riscatto come uomo di Dio, l’aver superato prove inaudite e sbaragliato acerrimi nemici, in questa visione Daniele si trova di fronte a qualcosa che oltrepassa la sua compressione e immaginazione. Nel male c’è qualcosa che all’uomo di Dio sfugge, che è impenetrabile e intollerabile. Ogni tentativo per cercare di capire fallisce e nel cuore del profeta s’insinua la paura di non farcela, di non avere la forza di sopportare il seguito della visione. Gabriele s’avvicina è Daniele si spaventa, cade per terra: “ebbi paura e caddi per terra” (Dn 8: 16, Cei). Una reazione che può essere compresa come un atto di sottomissione, oppure come la risposta di un uomo che di fronte alla complessità del male dice a Dio: “Basta! Non svelarmi più nulla!”.
L’inviato da Dio non desiste, lo invita a comprendere la visione perché “riguarda il tempo della fine”, ma ancora una volta, durante la spiegazione, il profeta sviene: “caddi svenuto con la faccia a terra” (Dn 8:18, Cei). Daniele è un uomo che non riesce a sopportare l’irrazionalità e la disumanità del male narrato nella visione. Non vuole più approfondire l’argomento, relazionarsi con “il tempo della fine”. L’importanza della profezia biblica è quella di mettere i figli di Dio in contatto con le realtà future, oltre che con quelle presenti e passate. La vicinanza tra queste realtà determina un’oppressione morale e spirituale tale da provocare lo sfinimento: sviene. Daniele ripugna il male!
Gabriele smette di parlare, s’avvicina al profeta e lo tocca, infondendogli la forza per risollevarsi: “ma egli mi toccò e mi fece alzare”.
L’immagine è di una profondità ineccepibile. La presenza di Gabriele e il suo tocco sono espressioni, carezze di riconoscimento dell’altro, che conferiscono al profeta vigore per alzarsi. Sono tenerezze di condivisione del peso etico e spirituale. Anche Gabriele soffre e insieme cercano di affrontare il resto della visione, proiettandosi nel lontano futuro fino al giorno in cui il male non ci sarà più.
Benché Daniele soffrisse, il Signore non può lasciarlo senza avergli prima dato informazioni sull’esito finale della profezia. Altrimenti avrebbe vissuto nell’angoscia e la sua esistenza ne sarebbe stata sicuramente condizionata. Daniele deve conoscere due importanti eventi profetici:
– quando Dio avrebbe inaugurato il suo regno, ponendo fine al malvagio corno e al potere occulto che lo sostiene;
– in che modo la profezia delle 2.300 sere e mattine coinvolgeva il suo popolo.
L’angelo riprende a parlare, esponendo alcuni aspetti della profezia. Afferma che il malefico corno “verrà spezzato senza intervento di mano d’uomo” (Dn 8:26), ma quando introduce la visione delle sere e mattine, che doveva tenere segreta perché riguardava un tempo lontano, allora Daniele sviene e si ammala per diversi giorni (Dn 8:27).
Daniele è alle prese con un’astenia psico-fisica tale da star male per diversi giorni. È sopraffatto dal contenuto della visione, dalla brutalità del male in essa racchiusa, tanto che l’inviato di Dio deve fermarsi. Non lo ristora con il tocco della sua mano, ma lo lascia solo, concedendogli il tempo di recuperare la salute e soprattutto di riflettere sugli insegnamenti espressi nella visione.
“Quando preghi, entra nella tua camera e, chiusa la porta, prega il Padre tuo nel segreto; e il Padre tuo, che vede nel segreto, te ne darà la ricompensa” (Mt 6:6).
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