La cultura in cui viviamo tende ad espellere la sofferenza, a negarla, esorcizzarla (talismani, amuleti, droga, alcol, ecc.), a rimuoverla o addirittura a “ucciderla” (suicidio/omicidio). I fatti di cronaca d’inaudita violenza, come quelli di uomini e donne che pongono fine all’esistenza di un genitore, di un figlio o dell’ex fidanzata o moglie, sono l’espressione violenta di una società che non accetta più la sofferenza in qualsiasi modo si manifesti. Non ci si può permettere di essere tristi, infelici, annoiati, scontenti e quindi, se capita di esserlo, ci si rivolge ai tecnici della felicità, nella speranza che trovino la pillola giusta o la ricetta giusta, che facciano sparire quelle fastidiose emozioni che proviamo. L’attuale generazione non ha imparato o non le è stato insegnato ad affrontare la sofferenza. La sindrome del puer aeternus (eterno bambino), oggi così diffusa, è dovuta proprio all’incapacità di accettare la sofferenza. Non si cresce, si resta psicologicamente bambini perché invece di affrontare il dolore e la sofferenza – inevitabili in questa vita – si preferisce evitarli.