Nella lettera a Tito Paolo rileva che la grazia di Dio, nella vita del credente, ha una funzione pedagogica, didattica e/o formativa in vista nella beata speranza del ritorno di Cristo (Ti 2: 11-13). Essa promuove in colui che è giustificato (Ti 3:4-7) uno stile di vita secondo i frutti dello Spirito che sono: «amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mansuetudine, autocontrollo» (Gal 5:22). Ciò significa che la grazia, manifestatasi in Gesù Cristo offre all’uomo nuove possibilità ed esigenze. Gli aspetti che contraddistinguono quest’opera meravigliosa della grazia sono tre: la fase destrutturante, subliminale e ristrutturante. La prima e l’ultima evidenziano due stili di vita contrapposti: il primo rivela una personalità impietosa, insensibile, distaccata, irreligiosa; l’ultima un carattere equilibrato, premuroso, gentile, riservato, spirituale. Quest’ultimo aspetto non ha nulla a che fare con la beatificazione tipica, nel mondo cattolico, degli eroi cristiani che sono in paradiso, ma con il presente: «in questo mondo». Non si tratta di una possibilità che la grazia promuove, ma di un presupposto per colui che l’ha accettata nella persona di Gesù Cristo. Paolo esplicita questo pensiero con le seguenti parole: «non son più io ma è Cristo che vive in me» (Gal 2:20). In altre parole, la vita del credente non è solo la risposta alla grazia di Dio, ma grazia vissuta: egli testimonia dell’epifania della grazia nella sua vita al mondo.