Perché siamo nati (1)
“La parola del Signore mi fu rivolta in questi termini: ‘Prima che io ti avessi formato nel grembo di tua madre, io ti ho conosciuto; prima che tu uscissi dal suo grembo, io ti ho consacrato e ti ho costituito profeta delle nazioni’” (Geremia 1:4-5). “Mi chiamo… e sono avventista anch’io. Ho una domanda da farvi: perché noi siamo qui sulla terra? Qual è il motivo per cui dobbiamo vivere qui?”. Ci sono due cose che l’uomo ha bisogno di sapere: chi è, e conoscere perché è qui! Egli non può vivere se non scopre che senso ha la sua vita: rischia l’infelicità. Ora, noi sappiamo che Dio ha creato ogni cosa con uno scopo. Nulla è stato lasciato al caso! Ogni pianta e ogni animale sono stati creati per dei motivi ben precisi. Per il fatto stesso che siamo qui, su questa terra, vuol dire che Dio ha uno scopo per la nostra vita. In Genesi 1:28 leggiamo: “Dio li benedisse; e Dio disse loro: ‘Siate fecondi e moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta…’”. Il primo motivo per cui siamo su questa terra è quello di condividere la creatività di Dio, mediante la formazione di un nucleo familiare. Dio crea dalla sua parola, da se medesimo. L’uomo, a differenza degli animali, è reso consapevole dell’amore di Dio, della sua capacità di far fluire dal suo amore ciò che è “molto buono” (Genesi 1:31). Dio crea a partire dalla polvere, dalla materia inorganica (Genesi 2:7), l’essere umano crea a partire dalla ciò che esiste ed è vivente, l’altro/a, mediante l’intimità. Nel contesto di Genesi 1 e 2, l’intimità deve essere preceduta dall’amore così come Dio ha creato ogni cosa a partire dal suo amore. L’intimità è “l’incarnazione dell’amore”. Ciò significa che se manca il rapporto personale, l’affettività, l’incontro, il senso di affidamento, la progettualità, l’atto sessuale cessa di avere una funzione espressiva. Emotivamente può essere ancora piacevole o eccitante, ma spiritualmente è avvertito come un’azione vuota, e una volta svanita la sensazione emotivamente piacevole, ciò che resta è il senso di vuoto. “Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall’uomo” (Genesi 2:23; cfr. 1Corinzi 7:4).
Perché siamo nati (2)
Un altro motivo per cui siamo nati è quello di gestire il creato. In Genesi 1:28, il Signore invita l’uomo “a rendere soggetta la terra, dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla terra”. Questo testo è di fondamentale importanza per una sana ecologia o per mantenere in buona salute l’ambiente, lo spazio in cui l’uomo vive. Pertanto la gestione del mondo creato è di importanza vitale. Il termine dominare non va inteso nel senso di sopraffare, di distruggere l’ambiente, ma di gestire la terra nella grazia di Dio e secondo le sue direttive. Tale pensiero è ben espresso in Genesi 2:15: “Dio il Signore prese dunque l’uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo lavorasse e lo custodisse”. Siamo nati per partecipare alla gestione del creato mediante il lavoro che dà senso alla vita, per partecipare con gioia alla gestione della terra e per formare un carattere creativo, dinamico ed entusiasta. In tal senso, studiare acquista un valore esistenziale se è vissuto nella prospettiva della realizzazione del sé (io) nella prospettiva di Dio. La formazione intellettuale e pratica favoriscono la dignità, l’autostima e la creatività dell’essere umano creato a immagine di Dio. Scriveva la signora White: “I giovani devono capire che la vita è assiduo lavoro, responsabilità e dovere. Essi hanno bisogno di un’educazione che li renda uomini e donne capaci di fronteggiare gli imprevisti. Devono imparare che la disciplina di un lavoro sistematico e regolare è essenziale, non solo come difesa contro le vicissitudini della vita, ma anche come aiuto per lo sviluppo dell’intero essere”. ? vero che le mutate condizioni della terra, in seguito alla maledizione del peccato, hanno prodotto un cambiamento nelle stesse condizioni del lavoro; tuttavia, anche se accompagnato da ansietà, stanchezza e fatica, il lavoro continua a essere fonte di gioia e di crescita costituendo una salvaguardia contro la tentazione. La sua disciplina frena l’intemperanza e stimola all’attività, alla correttezza e alla costanza. In tal modo esso diventa parte del piano di Dio per redimerci. Il lavoro quotidiano, perciò, invece di essere qualcosa di meccanico, privo di profonde riflessioni, deve essere illuminato e nobilitato dal costante richiamo a ciò che è spirituale, invisibile ed escatologico.
Perché siamo nati (3)
Il terzo motivo per cui siamo su questa terra lo troviamo in Genesi 1:29: Dio disse: “Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di nutrimento”. Questo testo, a prima vista, sembra che non abbia nulla a che fare con lo scopo per cui vivere, ma non è così. Nutrirsi è fondamentale alla vita, non solo biologica, ma anche psicologica: “Mente sana in un corpo sano”. L’esistenza della persona, il suo divenire è intimante legato alla salute. Stare bene fisicamente dà modo di muoversi, lavorare, creare e istituire delle serene e apprezzabili relazioni. Possiamo riassumere molte delle caratteristiche della nostra esistenza dicendo che l’essere umano è essenzialmente corporeo. Esistiamo in una forma corporea. Non si tratta semplicemente del fatto che abbiamo un corpo. Più precisamente, noi siamo il corpo. Troviamo questa fondamentale caratteristica dell’esistenza umana in una delle più importanti dichiarazioni bibliche sull’uomo: “Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente” (Genesi 2:7, versione Cei). Il corpo, dunque l’organismo fisico, è un aspetto costitutivo dell’esistenza umana. Non possiamo immaginare la vita umana al di fuori di un qualche tipo di corpo. In realtà, un essere umano senza corpo costituirebbe una contraddizione di termini. Dal momento che l’esistenza degli uomini e delle donne è essenzialmente corporea, ne consegue che il corpo è qualcosa di buono che merita di essere trattato con cura. In se stesse, le cose che rendono la nostra vita fisica gradevole sono buone, pertanto non c’é niente di male nel mangiare e nel bere. Dio stesso provvide al cibo di Adamo ed Eva (Genesi 2:9,16). Gesù promise di mangiare e bere con i suoi discepoli nel regno di Dio (Luca 22:16-18), e Giovanni vide i redenti liberati dal problema della fame e della sete (Apocalisse 7:16). Nella visione cristiana dell’uomo, dunque, l’idea che i bisogni fisici naturali debbano essere repressi, è totalmente assente. Nella ricerca della santità, erroneamente, delle persone vivono senza mangiare e bere a sufficienza per lunghi periodi. Abbiamo bisogno di recuperare il senso della vita tenendo conto di quanto sia importante prendersi cura della salute, mediante un’alimentazione sana, adeguata alle esigenze del nostro organismo e che sia in rapporto al tipo di attività che svolgiamo. Non dobbiamo vivere per mangiare, ma mangiare per vivere alla gloria di Dio. “Sia dunque che mangiate, sia che beviate, sia che facciate qualche altra cosa, fate tutto alla gloria di Dio” (1Corinzi 10:31).
Perché siamo nati (4)
Il quarto motivo per cui siamo nati è ben evidenziato nel testo di Romani 8:29: “Perché quelli che ha preconosciuti, li ha pure predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli”. “Il significato fondamentale del peccato è il ‘fallimento’ come uomini creati a immagine di Dio. Questo fallimento consiste nella rottura della nostra relazione con Dio e con gli altri esseri umani, rottura che comporta sfiducia, orgoglio, disubbidienza, ribellione e ingratitudine … La natura umana è stata corrotta nel profondo di se stessa e in essa alberga un’ostilità istintiva verso Dio (Romani 8:7); è debole e soffre di un’inclinazione, quasi incosciente, al peccato. Questa natura, dominata dal peccato, governa la razza umana (Romani 8:9) e a causa di questa schiavitù è impossibile agli uomini divenire fedeli amministratori di Dio … Il peccato, rivolta contro Dio, non ha prodotto soltanto l’egoismo e la schiavitù: esso ha anche deformato l’immagine di Dio nell’uomo (Romani 3:23)” (G. Marrazzo). A causa del peccato la nostra natura fisica, spirituale e morale è stata alterata. Pertanto l’umanità ha perso il senso della vita e la dignità di essere figlia di Dio. Ma grazie all’amore del Creatore, possiamo recupere ciò che è perduto perché in Gesù, mediante l’opera dello Spirito Santo, possiamo acquisire il carattere di Cristo ed essere adottati da Dio come suoi figli (Efesini 5:1). Siamo “predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio di Dio”, ciò significa che siamo orientati, grazie all’opera dello spirito Santo, ad acquisire la libertà interiore, spirituale e sociale, che è stata di Gesù Cristo. Tale aspetto è ben evidenziato nel magistrale capitolo sulla risurrezione (1Corinzi 15). In questo brano, Paolo, ispirato dal Signore, ci offre la possibilità di cogliere il senso della vita secondo Dio. Nei versetti da 42 a 49, egli pone l’uomo di fronte a se stesso e all’ideale secondo Dio, offrendogli la possibilità di superarsi. Un movimento che parte dalla situazione attuale e va verso l’ideale: il corruttibile diventa incorruttibile; l’ignobile diventa glorioso; il debole diventa potente; il naturale diventa spirituale; il terreste diventa celeste. “Come abbiamo portato l’immagine del terrestre, così porteremo anche l’immagine del celeste» (1Corinzi 15:49). Lo scopo per cui siamo nati è vivere in relazione ai valori divini e al nostro divenire secondo Dio, nella prospettiva della vita eterna.
Perché siamo nati (5)
“Ama il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente” e “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Mt 22:37-39). La quinta ragione per cui siamo stati posti su questa terra è che siamo stati creati per amare. Non amare significa morire. Le persone che professionalmente hanno successo e non hanno scoperto la vera dimensione dell’amore vivono sì, ma come se fossero morte. August Aguillar scrisse: “L’uomo é condannato ad amare, perché quando non sceglie di farlo rimane nella solitudine e nella distruzione”. “Molti uomini e molte donne hanno il cuore duro perché l’affetto è stato considerato come una debolezza e quindi represso. Le buone disposizioni di queste persone sono state soffocate durante la loro fanciullezza, e se la luce dell’amore di Dio non infrange il loro freddo egoismo, la loro felicità sarà per sempre perduta” (E. G. White). Io credo che questo sia vero, che la vita abbia senso solo quando ci doniamo, quando amiamo e ci lasciamo amare. Dio, che è amore, ci ha creati per questo proposito. Se vogliamo godere della pace, della piena felicità, dobbiamo organizzare la nostra vita orientandola secondo l’esperienza di Cristo: egli amava e si lasciava amare. Questo ci aiuterà non solo spiritualmente, ma anche fisicamente ed emotivamente. Le persone con pochi amici e che evitano i familiari, che non amano e non si lasciano amare hanno un tasso di mortalità due volte maggiore di coloro che invece vivono bene con se stesse e con gli altri. Già Anseiller, lo specialista e inventore della parola stress, ha constatato che molte persone amabili, comprensive e che offrono attenzione agli altri hanno molto meno stress. Questo specialista fu il primo a scoprire che quando offriamo calore umano agli altri il nostro corpo produce un ormone chiamato endorfina che è un ormone del benessere. Se vogliamo dare un senso alla vita, dobbiamo avere nell’intimo ciò che Dio ha più a cuore: amare e lasciarsi amare. Chi non ama e non si lascia amare è condannato a un’esistenza fragile, priva di significato. Più ci chiudiamo in noi stessi, nel nostro mondo, sgradevole o piacevole che sia, più la vita perde valore. Jean Lacroix, diceva: “L’amore impone una disarticolazione anticipata di se stessi, ma quest’atto così difficile è anche una nuova creazione, perché è come mettere un altro dentro di noi, che diventa più importante di noi stessi. Amare é morire per poi risuscitare”. Arriverà il giorno in cui il vostro medico vi consiglierà esercizio fisico regolare, alimentazione sana e un gesto amico nei confronti di qualcuno.
Perché Dio non risponde?
“Egli è pieno d’orgoglio, non agisce rettamente; ma il giusto vivrà per la sua fede” (Abacuc 2:4). La digitalizzazione della vita da una parte sta creando dei credenti sempre più impazienti e bisognosi di speciali riunioni improntate sulla risposta immediata di Dio, dall’altra promuove la perdita della spiritualità caratterizzata dalla rassegnazione. Ma Dio non si lascia intrappolare dal culto dell’immediato, come spesso accade a noi, e non cede alla rassegnazione. Quasi ogni giorno ricevo delle email imbevute di quel senso di inerzia e di abbandono. Uomini e donne che continuamente si chiedono: perché Dio non risponde? Perché non esaudisce le mie preghiere? Sono anni che soffro, perché… Mi resta difficile capire l’agire di Dio nella mia vita, come nella vita di chi si rivolge a me per una parola di conforto o per avere delle risposte, perché ci sono delle cose che la gente sa di noi e che noi non sappiamo; delle altre che gli altri sanno e che noi sappiamo; altre ancora che solo noi conosciamo di noi stessi. Ci sono soprattutto delle cose che né gli altri né noi stessi conosciamo, ma unicamente Dio. Pertanto, ho fiducia che ogni anelito sarà accolto da Dio nella sua ghirba: “Tu conti i passi della mia vita errante; raccogli le mie lacrime nell’otre tuo; non le registri forse nel tuo libro?” (Salmo 56:8). C’è un capitolo nella Bibbia, che per me resta difficile da capire, sull’agire di Dio di fronte alla sofferenza, è l’undicesimo della Lettera agli Ebrei, il capitolo della fede, dove troviamo uomini e donne che sono benedette da Dio in un modo diverso rispetto ad altri: “Enoc rapito in cielo perché non vedesse la morte” (v. 5); alcuni “spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri” (v. 34); ci furono anche delle “donne che riebbero per risurrezione i loro morti”, ma “altri furono torturati… messi alla prova con scherni, frustate, anche catene e prigionia. Furono lapidati, segati, uccisi di spada; andarono attorno coperti di pelli di pecora e di capra; bisognosi, afflitti, maltrattati erranti per deserti, monti, spelonche e per le grotte della terra” (v. 35-38). Ciò che unisce questi credenti dalle vite diverse è la fede (v. 39), che non è una bandiera da portarsi in gloria “ma una candela accesa che si porta in mano tra pioggia e vento in una notte d’inverno. I credenti non devono sentirsi come un esercito di soldati che cammina in trionfo e trae orgoglio e forza dal fatto di formare una schiera numerosa e unita. A Dio non piace di essere amato come gli eserciti amano la vittoria”. Sono parole forti, queste, annotate da una scrittrice “laica” come Natalia Ginzburg nel volume Mai devi domandarmi (1970), ma significative. A una specifica richiesta, dopo aver pregato tre volte, Dio rispose a Paolo: “La mia grazia ti basta” (2 Corinzi 12:9). Dio non esaudì la sua richiesta come sperava, ciononostante Paolo proseguì il suo audace viaggio nella fede, senza mai perdere di vista la grazia: Cristo Gesù. Più tardi comprese il motivo per cui non fu guarito: “affinché io non insuperbisca” (2 Corinzi 12:7). Dio vede la fine sin dal principio. Egli è infinito e onnisciente, coglie la nostra sofferenza e la realtà nel suo insieme. Vede le conseguenze sin dal principio, pertanto ci esaudisce secondo la sua volontà. Ma non solo, egli valuta la nostra richiesta in previsione della vita eterna. Per il nostro bene futuro ed eterno, a volte ci esaudisce in modo diverso da come noi desideriamo. Pertanto, “accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4:16).
Perché devo lodare il Signore?
“Un cuore allegro è un buon rimedio, ma uno spirito abbattuto fiacca le ossa” (Proverbi 17:22). I cristiani la cui esistenza è caratterizzata dalla tristezza, che spesso sono abbattuti, si lamentano o brontolano, suggeriscono un falso concetto di Dio e della loro esperienza spirituale e fanno pensare che il Signore non desideri che i suoi figli siano felici. La loro testimonianza è falsa e non risulta a vantaggio di Dio (E.G.White). Tutto l’universo e tutto ciò che è vivente è invitato a lodare il Signore come suggeriscono i Salmi, dal 148 al 150. Il versetto 10 del Salmo 145 afferma: “Tutte le tue opere ti celebreranno, o Eterno”. Lodare Dio è anche il compito più importante affidato agli angeli. Il paradiso risuona di cantici di lode a Dio (Apocalisse 4:8; 5:11,12; 19:6). Frances Metcalf nel suo libretto “Date gloria a Dio” riporta quei passaggi della Scrittura che attestano che Dio “siede sopra i cherubini” (Salmo 80:2; 99:1; Isaia 37:16). Si tratta dei cherubini che spezzano le catene dell’oppressione, che circondano il trono della Maestà Divina e che, giorno e notte, proclamano: “Santo, santo, santo è il Signore Iddio degli eserciti” (Isaia 6:3). Dio è circondato dalle lodi. La lode a Dio è quindi intimamente legata alla sua presenza. Benché Dio sia onnipresente le sue benedizioni non si riscontrano ovunque. Il suo aiuto giunge là dove egli è adorato, pregato e lodato. Nel Salmo 22:3 si legge: “Tu sei il Santo, che siedi circondato dalle lodi d’Israele”. Questo significa che Dio è presente dove le preghiere e le lodi sono sincere e si sperimenta la pace interiore. La presenza di Dio scaccia Satana, che non ha nessun potere di fronte al Signore e allontana dalla nostra mente i pensieri negativi e le funeste passioni. Il segreto di una fede che conduce alla vittoria sta proprio nella lode. Ciò che accade nel cielo dove la lode al Signore ha un posto tanto importante, dovrebbe servirci da esempio per la nostra vita terrena. La chiesa, comunità cristiana, ha smesso da un bel po’ di dare alla lode l’importanza che le è dovuta. Molti la considerano come un ornamento vuoto e senza senso. Se però questa attività è tanto importante per gli angeli, ci devono essere certamente dei motivi che non bisogna trascurare. Se in cielo è tanto importante che Dio sia lodato giorno e notte (Apocalisse 4:8), questo deve anche avere un significato profondo e grandi conseguenze. Nel Salmo 57:8 leggiamo: “Il mio cuore è ben disposto, o Dio, il mio cuore è ben disposto; io canterò e salmeggerò”. Queste parole ci fanno comprendere che la lode non è un momento di euforia passeggera. Sappiamo che Davide, quando scrisse questo Salmo, stava fuggendo dal re Saul che lo minacciava. La sua disposizione d’animo non era influenzata dalla situazione del momento e dai sentimenti. La sua anima traboccava di gratitudine e di lode. “Abbiamo bisogno di lodare maggiormente Dio ‘per la sua benignità e per le sue meraviglie a pro dei figliuoli degli uomini’ (Salmo 107:8). La nostra vita spirituale consiste troppo spesso in un chiedere e un ricevere, perché pensiamo sempre alle nostre necessità e mai alle benedizioni che continuamente riceviamo. Preghiamo di più ed esprimiamo la nostra gratitudine e lode a Colui che ci ha creati e redenti” (E. G. White).
Perché il peccato e la sofferenza?
“Ora vediamo come in uno specchio, in modo oscuro; ma allora vedremo a faccia a faccia; ora conosco in parte; ma allora conoscerò pienamente, come anche sono stato perfettamente conosciuto” (1Corinzi 13:12). Io non sono onnisciente, vivo nel tempo e nello spazio che delimitano la mia esistenza e definiscono il mio essere creatura, e pertanto non conosco “il mistero del peccato e del male”. So che il peccato ha stravolto la natura umana nel suo dna e la creazione, e in questa tragedia, in qualche modo, è stato coinvolto anche l’universo. Ma so anche che grazie all’amore di Dio tutto questo finirà come è scritto in Apocalisse 21: 1-8. Di fronte a Dio, l’uomo è come un bambino incapace di cogliere il pensiero e l’agire del padre, ma sente nel profondo del suo cuore che egli lo ama e che le sue promesse rassicuranti si realizzeranno. Quindi si affida. Quello che a noi manca, oggi, è proprio il senso di affidamento a Gesù Cristo. Capire che la ragione ha i suoi limiti e che questi dovrebbero sfociare in un atto di abbandono e di fiducia. In fondo. possiamo paragonare la fede a un contenitore dove versiamo i nostri dubbi e le nostre perplessità nell’attesa che siano compresi al ritorno di Cristo. Pretendere di capire l’agire di Dio, il modo in cui egli ci ama, credo sia presuntuoso. Sia un tentativo di far causa a Dio e giudicarlo, tralasciando di pensare che in fondo in questa valle di lacrime ci troviamo a causa nostra (Isaia 59: 1-4). Non siamo migliori di Adamo, di chi ci ha preceduto o di chi ci è accanto. Non dobbiamo mai dimenticare che “è per grazia che siamo salvati” (Efesini 2:8). Scrive l’apostolo Pietro che perfino gli angeli cercano di capire l’amore di Dio: l’evangelo (1 Pietro 1:12). Ora, come ribadisce il profeta Isaia “L’argilla dirà forse a colui che la forma: ‘Che fai?’ L’opera tua potrà forse dire: ‘Egli non ha mani?’” (Isaia 45:9). Umiltà e senso di affidamento è ciò che il Signore ci chiede. In che misura siamo disposti ad affidargli la nostra vita? Dio è immortale, onnipotente, onnisciente, onnipresente ovunque e sempre. Egli è infinito e trascende l’umana comprensione (Deuteronomio 6:4; Matteo 28:19; 2Corinzi 13:14; Efesini 4:4-6; 1Pietro 1:2; 1Timoteo 1:17; Apocalisse 14:7). Avere fede, significa anche accettare i propri limiti ed essere umili e fiduciosi di fronte alla vita e all’universo. Pertanto “accostiamoci con piena fiducia al trono della grazia, per ottenere misericordia e trovar grazia ed essere soccorsi al momento opportuno” (Ebrei 4: 14-16).