Francesco Zenzale – “Ma non potendo trovare nessun motivo di accusa né colpa, perché egli era fedele e non aveva niente da farsi rimproverare, quegli uomini allora pensarono: ‘Non possiamo trovare altro pretesto per accusare Daniele, se non nella legge del suo Dio’. Allora capi e satrapi vennero tumultuosamente presso il re e gli dissero: ‘Vivi in eterno, o re Dario! Tutti i capi del regno, i prefetti e i satrapi, i consiglieri e i governatori si sono accordati perché il re promulghi un decreto e imponga un severo divieto: chiunque, per un periodo di trenta giorni, rivolgerà una richiesta a qualsiasi dio o uomo tranne che a te, o re, sia gettato nella fossa dei leoni. Ora, o re, promulga il divieto e firma il decreto, perché sia immutabile conformemente alla legge dei Medi e dei Persiani, che è irrevocabile’. Il re Dario quindi firmò il decreto e il divieto” (Dn 6:5-9).
Ecco un uomo che si lascia piegare come un novizio dalle decisioni degli altri (satrapi), accettando di essere per un mese un “dio”. Un re, uno statista, un politico o un religioso che s’illude di essere Dio, avocando prerogative divine. Indubbiamente Dario pensava, con quest’atto, di rafforzare l’unità politica del regno, ma non si rendeva conto che non solo avrebbe fatto soffrire “i giusti secondo Dio” o coloro verso i quali aveva riposto massima fiducia, ma che anche lui avrebbe dovuto pagare un prezzo. Forse non era consapevole fino a che punto Daniele, il suo beneamato, sarebbe rimasto fedele.
L’autore della lettera agli Ebrei elenca una sfilza di uomini e donne che, come Daniele, sono rimasti fedeli al Signore, nonostante le persecuzioni fruite dal funesto connubio stato-chiesa. Una fusione riportata dagli annali della storia e che ancora oggi è presente, non solo nel fondamentalismo islamico, ma anche nell’arcipelago cristiano, benché non sia così evidente e violento. Basti pensare a quante leggi sono state emanate dai presunti governi civili con il consenso della religione dominante. Di fatto non c’è aspetto della politica che si possa definire propriamente “laica”.
È sorprendente quanto profetizza Giovanni nella sua preziosa lettera: l’Apocalisse (Ap 13:15-16). Sembra che ogni mezzo sia lecito per annientare coloro i quali ogni giorno scelgono di affidare la loro vita al Signore piuttosto che adorare colui che s’innalza a “oggetto di culto” (2 Tess. 2:3-4).
C’è chi si ubriaca del sangue dei santi e dei martiri (Ap 17:6). C’è chi invece imbianca il carattere nel sangue dell’Agnello (Ap. 7:14). Questi ultimi beneficiano di un’eterna vittoria (Ap 12: 11).
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