Francesco Zenzale – “Dovevano essere ragazzi senza difetti fisici, di bell’aspetto, dotati di ogni saggezza, istruiti e intelligenti, capaci di stare nel palazzo reale per apprendere la scrittura e la lingua dei Caldei. Il re assegnò loro una razione giornaliera dei cibi della sua tavola e dei vini che egli beveva; e ordinò di istruirli per tre anni dopo i quali sarebbero passati al servizio del re. Tra di loro c’erano dei figli di Giuda: Daniele, Anania, Misael e Azaria; il capo degli eunuchi diede loro altri nomi: a Daniele pose nome Baltazzar; ad Anania, Sadrac; a Misael, Mesac e ad Azaria Abed-Nego” (Dn 1: 4-7).
Il re Nabucadnetsar utilizza un metodo efficace per trasformare Daniele e i suoi compagni in docili alleati: l’assimilazione dei vinti. Inculcando loro la cultura, la filosofia, la religione e lo stile di vita dei babilonesi, il monarca spera di renderli arrendevoli e devoti. Questi giovani nobili, scelti dovutamente tra i tanti, costituiscono la nuova élite cosmopolita del futuro impero mondiale che albergava nel cuore del re.
A quale mezzo ricorre Aschpenaz per condizionarli? “Il capo degli eunuchi diede loro altri nomi” (v. 7).
La vittoria sui vinti doveva essere completa, compromettendo anche l’identità della persona. L’esistenza dei vinti e di ciò che essi potevano rappresentare come cultura, religione, identità personale e nazionale, doveva cambiare e uniformarsi a quella di Babilonia. Nebucadnetsar ci prova cambiando i nomi dei quattro giovani israeliti.
Il nome in sé sottoscrive l’esistenza di una persona, verso di esso si possono provare sentimenti contrastanti: amore – odio, ammirazione – disprezzo, ecc. Il nome conferisce esistenza, ruolo, potenzialità, abilità, socialità.
Nella Scrittura, un cambiamento di nome denota un cambiamento di carattere. Il nome di Giacobbe fu mutato in Israele; quello di Abramo in Abrahamo, e così via. “Dietro questo cambiamento di nomi si denota il tentativo satanico di cancellare il ricordo di Gerusalemme e obbligare quei nobili giovani ad abbandonare la loro identità per assimilarsi coi pagani” (Arno C. Gaebelein, Il profeta Daniele, ed. Il Messaggero Cristiano, p. 18).
Giovanni Rinaldi, nel suo libro, La Sacra Bibbia, Daniele, alla pagina 41 scrive: “Quest’uso dell’Oriente antico ubbidiva al principio generale che cambiamento di nome è cambiamento di sorte: i giovani devono oramai, nell’intenzione dei padroni (imposizione del nome è atto di dominio) orientarsi secondo la vita babilonese”.
Il nome Daniele, che significa Dio è il mio giudice e rievoca il decalogo e la giustizia di Dio, è sostituito con Baltazzar, che significa custode dei tesori di Belo o il dio Belo protegge il re.
Anania, che significa il Signore è benigno e richiama la bontà e la misericordia di Dio, è cambiato in Sadrac, che tradotto dà: ispirazione del sole o figlio del dio sole.
Misael, che significa simile a Dio o che appartiene a Dio, e rievoca il Dio creatore e l’uomo creato a sua immagine, è sostituito con Mesac, ovvero colui che appartiene alla dea Ishtar (Venere, per gli antichi romani).
Azaria, che vuol dire il Signore è il mio aiuto, e ricorda Dio quale amico e sostenitore, è cambiato in Abed-Nego, in altre parole, figlio di Nebo o stella del mattino.
Quale significato esistenziale e trascendentale può avere l’espressione figlio di Dio?
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