Francesco Zenzale
Nell’ambito del cristianesimo si fa sempre più presente l’idea che Dio, proprio perché è amore, non esercita alcun giudizio sulla terra e che alla fine Dio concederà la salvezza a tutti, indipendentemente dalle loro scelte di vita.
Questo nuovo modo di comprendere Dio, da una parte induce a escludere dalla redenzione il diritto e la giustizia. Un binomio significativo presente nelle Sacre Scritture (Geremia 9:24; Isaia 9:6; Salmi 99:4; 1Re 10:9; Ecclesiaste 5:8; Geremia 22:3, ecc.), che evidenzia come la salvezza perde tutto il suo valore laddove diritto e giustizia sono messi da parte. Dall’altra riduce l’amore a una semplice dichiarazione priva di contenuto. Infatti, come esercitare l’amore senza il diritto e la giustizia riferiti a Dio e al prossimo?
Quando l’amore è privato di questi due elementi che regolano la nostra relazione Dio-prossimo, esso perde di significato, valore e concretezza; lo si traduce in un inebriante sentimentalismo. Lo stesso vale per la giustizia e il diritto senza l’amore o la misericordia: entrambi i costituenti si traducono in crudeltà e legalismo.
Dio è amore e anche giudice! Quest’ultima caratteristica è un’antica concezione comune a tutti i popoli semiti; Dio è visto, al tempo stesso, come fondamento e come contraente del diritto. In poche parole, egli è l’autore e il garante di tutta la giustizia umana sia all’interno della comunità, dove la sua sovranità si realizza nell’atto di giudicare e in esso si riconosce che egli è il Signore, sia nella difesa della comunità dagli attacchi dei nemici.
L’idea del giudizio (Dio giudice), nell’Antico Testamento, ha la sua genesi non in campo giuridico ma nella dottrina dell’alleanza. Apportando al suo popolo la salvezza e la vittoria come frutto dell’impegno dell’alleanza, Jahweh realizza il suo giudizio sul popolo (Deuteronomio 1:17).
I mispatim (giudizi) di Jahweh sono manifestazioni di questo patto nel quale Jahweh, come sovrano signore e giudice, regola i rapporti comunitari del popolo e lo libera dai suoi oppressori con grandi giudizi (Esodo 6:6; 7:4; Giudici 11:27; 2Samuele 18:31; Deuteronomio 33:21). (È significativo che le vittorie di Israele siano definite sidqôt jhwh, letteralmente “giudizi di Jahweh”, sono dunque manifestazioni delle decisioni con cui Jahweh giudica). Egli non lascia impunito il peccato (Genesi 4:10).
Ora, proprio in questa profonda consapevolezza del peccato, l’annuncio del giudizio di Dio si identifica, nella Bibbia, con l’annuncio della sua condanna, tanto più che il popolo è legato a Dio con una relazione di carattere salvifico, gratuito, giuridico, amorevole.
In Genesi 18:25, dalla domanda di Abramo: “Il giudice di tutta la terra non farà mispat?”, comprendiamo come questo tipo di fede in Dio riguarda il singolo come anche la comunità, e la fiducia che viene dall’aver sperimentato il mispat nella propria storia ha altrettanto valore nella storia universale.
Nella predicazione di Gesù, l’idea del giudizio è centrale. Gesù, sia a parole sia con le azioni, predica l’imminenza del giudizio di Dio, invitando al ravvedimento e alla speranza, e “minacciando” con i suoi “Guai a voi!” coloro che sono impenitenti a convertirsi (Matteo 11:20 e segg.; Mt 10:15, ecc.). In questo giudizio non c’è spazio per i meriti personali, ma la salvezza è data unicamente come perdono. La predicazione di Paolo è anch’essa dominata dall’attesa del giudizio di Dio che renderà a ciascuno secondo le sue opere (Romani 2:1-11). La pazienza divina lascia ancora tempo all’uomo perché si converta, ma arriverà il giorno in cui tutti gli uomini, senza eccezione, anche i cristiani, dovranno comparire di fronte al giudizio di Dio (2Corinzi 5:10). Sia per Pietro (1 Pt 1:7; 2:7; 4:17) sia per Giovanni (Gv 5:28; 15:6; 3:17; 8:15; 12:47; 12:31; 16:11; 1Gv 4:17), l’attesa del giorno del giudizio costituisce il presupposto costante. Senza parlare poi dell’Apocalisse che presenta tutte le conseguenze del giudizio (Ap 20:1 e segg.) e mette in risalto tutto il valore centrale che l’idea del giudizio ha nel Nuovo Testamento. Esso si concretizzerà con “la fine del mondo” e l’inizio di un mondo nuovo.