Francesco Zenzale
“L’errore sta nella virtù come il sonno sta alla veglia. Ho notato che uscendo dall’errore si torna come ritemprati alla verità” (Johann Wolfgang Goethe).
“Conosciamo il Signore, sforziamoci di conoscerlo! La sua venuta è certa, come quella dell’aurora; egli verrà a noi come la pioggia, come la pioggia di primavera che annaffia la terra” (Osea 6:3).
Sin dalle origini, la storia dell’uomo, e più di ogni altra cosa del cristianesimo, è contraddistinta da considerevoli equivoci riguardo a se stessi, al prossimo, a Dio e al vivere la religiosità. I malintesi fanno parte della vita e sono inevitabili. Ciò è dovuto a diversi fattori: la personale griglia interpretativa del vissuto in generale e in particolare dell’altro, l’incapacità di esprimersi adeguatamente, gli inevitabili elementi culturali e/o ambientali e, infine, le inadeguate aspettative che immancabilmente ci deludono.
Gesù stesso più volte ha dovuto correggere le aspettative messianiche degli apostoli, di sua madre e dei suoi fratelli. I discepoli sulla via di Emmaus, dopo la morte di Cristo, manifestarono la loro delusione nelle seguenti parole: “Noi speravamo che fosse lui che avrebbe liberato Israele; invece, con tutto ciò, ecco il terzo giorno da quando sono accadute queste cose” (Luca 24:21). Eppure, Gesù era risorto ed essi lo sapevano perché erano stati avvisati da alcune donne (Luca 24:22). Solo dopo diverse apparizioni i discepoli compresero di essersi sbagliati e, finalmente rinfrancati dalla delusione, gioirono della presenza del risorto.
Purtroppo, il rapporto uomo-Dio nel corso dei secoli è stato contraddistinto da seri equivoci teologici con conseguenze anche luttuose. Basti pensare alle crociate, alle inquisizioni, alle indulgenze, alla salvezza per opere o a una religiosità fondata sull’esperienza personale, caratterizzata da un vissuto dal forte carico emotivo che rivela l’infondatezza di un autentico incontro con Cristo e con le Scritture.
Il corredo religioso del credente è tempestato da un insieme di espressioni bisognose di un’attenta valutazione, perché esprimono un concetto errato di Dio e rivelano una devozione ambigua.