Francesco Zenzale
John M. Fowler – L’affermazione che la grazia divina ci libera dalle richieste di obbedienza costituisce una terza limitazione della grazia. Questa ci libera dal peccato, ma non toglie l’obbligo di ubbidire alla legge. Paolo pose questa domanda: “Rimarremo forse nel peccato affinché la grazia abbondi? No di certo! Noi che siamo morti al peccato come vivremmo ancora in esso?… Siamo dunque stati sepolti con lui mediante il battesimo nella sua morte, affinché come Cristo è stato risuscitato dai morti mediante la gloria del Padre, così anche noi camminassimo in novità di vita” (Romani 6:1-4).
Siamo salvati per grazia mediante la fede, ma la libertà che ne deriva non significa vivere come ci pare, ma in accordo con il volere divino che è rivelato nella sua legge. La salvezza viene dalla fede, ma deve portare all’ubbidienza, la naturale conseguenza della liberazione dal peccato che Dio ci dona. Considerate l’affermazione, piena di speranza, che Gesù fa in Giovanni 14 e 15. Nello stesso modo in cui la relazione di Gesù col Padre precede la sua obbedienza nei suoi confronti, la relazione dei discepoli con Cristo dovrebbe precedere la loro obbedienza verso di lui. “Se voi mi amate, osserverete i miei comandamenti” (Giovanni 14:15). Osservate anche quale speranza Gesù nutre per i suoi discepoli: “Dimorate in me, e io dimorerò in voi. Come il tralcio non può da sé dar frutto se non rimane nella vite, così neppure voi, se non dimorate in me&rdqu o; (Giovanni 15:4). Il discepolato cristiano non è il raggiungimento di un determinato livello morale, ma l’accettazione della chiamata di Cristo; non è la perfezione morale, ma una fiducia costante in lui. Quando tale fiducia è resa stabile dalla fede nella grazia di Dio, i frutti seguono naturalmente secondo un semplice principio: prima l’amore, poi il frutto; prima la grazia, poi l’ubbidienza.
Il discepolato cristiano non lascia alcuno spazio né all’eresia del legalismo, né alla licenza di una grazia a buon mercato. Il teologo tedesco Dietrich Bonhoeffer scrisse: “Grazia a buon mercato significa predicare il perdono senza chiedere il pentimento, il battesimo senza disciplina ecclesiastica, comunione senza confessione, assoluzione senza confessione individuale. Grazia a buon mercato vuol dire grazia senza discepolato, grazia senza la croce, grazia senza Gesù Cristo, vivente e incarnato”. Essere un discepolo significa essere un seguace, ed essere un seguace di Cristo non è una cosa di poco conto. Paolo scrisse così ai Corinzi: “Ma per la grazia di Dio io sono quello che sono; e la grazia sua verso di me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro; non io però, ma la grazia di Dio che è con me” (1 Cor 15:10). Paolo, infatti, non ave va ricevuto la grazia per vivere una vita vana e vuota.
La grazia di Dio non è intervenuta per redimerci da una certa condizione di vuoto, per farci ricadere in un’altra condizione di vuoto. Entrati nella famiglia di Dio, portiamo il frutto del suo amore attraverso la potenza della sua grazia. Una grazia a buon mercato che ignora l’ubbidienza e l’esigenza di produrre dei frutti, pone un limite alla grazia di Dio.