Francesco Zenzale
Nel V secolo a.C., Sofocle scrisse una tragedia la cui eroina Antigone preferiva affrontare la morte piuttosto che ubbidire al decreto del re Creonte che le vietava di dare onorata sepoltura al fratello ucciso in una rivolta. Le parole di Antigone, se seppellire il fratello “fosse un crimine, allora sarebbe un crimine voluto da Dio”, sono state spesso citate come la prima testimonianza di qualcuno che cercava di ubbidire a una legge più elevata e non scritta, piuttosto che al decreto o alla volontà di un essere umano. Nel rifiuto di Giuseppe di cedere alle attenzioni della moglie del suo padrone, racconto contenuto nel libro biblico di Genesi 39, abbiamo un altro esempio dello stesso principio. Se Giuseppe avesse ceduto alle proposte della donna, avrebbe tradito se stesso, ma soprattutto il suo padrone. Ma per lui, la preoccupazione maggiore era quella di non peccare “contro Dio” (Genesi 39:9). Egli aveva compreso che in qualche modo il peccato era da mettere in relazione a Dio stesso. Molti secoli dopo, Davide, dopo aver commesso un adulterio e ucciso un uomo, rivelava a Dio la sua confessione: “Ho peccato contro te, contro te solo, ho fatto ciò che è male agli occhi tuoi” (Salmo 51:4). In che modo, quando commettiamo un peccato, stiamo peccando contro Dio? Che cosa significa? Perché Davide e Giuseppe sottolinearono questo aspetto del loro peccato verso altri? Anche se non per colpa sua, Giuseppe si trovò di nuovo in una cattiva situazione: questa volta in una prigione dove, secondo il Salmo 105:18, i suoi piedi furono legati “con ceppi” e “fu oppresso con catene di ferro”. Come sarebbe stato facile soccombere allo scoraggiamento e all’amarezza! Giuseppe aveva assunto una posizione che gli costò moltissimo. Quando è stata l’ultima volta che hai accettato di pagare qualcosa per non rinunciare a un principio?