Notizie Avventiste/Francesco Zenzale
“O Signore, fammi conoscere la mia fine e quale sia la misura dei miei giorni. Fa’ ch’io sappia quanto sono fragile” (Salmo 39:4).
Possedere una personalità forte non vuol dire avere un carattere duro e intransigente, essere sempre all’altezza della situazione, ma piuttosto la capacità di essere sereno, di prendere le decisioni giuste al momento opportuno, di distinguere, sempre e comunque, le idee dalle persone, le motivazioni dagli atti, il peccato dal peccatore (Romani 7:18-24).
Se consideriamo che ciò che rende piacevole una persona è la sua nobiltà, lealtà e onestà d’animo, potremmo da ciò dedurre che il segreto della vera personalità consiste nella capacità di coltivare le virtù umane. Sembra semplice ma non lo è, perché giornalmente ci confrontiamo con quella parte nascosta di noi stessi, di cui ci vergogniamo: la nostra fragilità.
Non si parla volentieri delle proprie fragilità perché si ha paura dell’altro, di essere manipolati o compatiti. Nessuno ama essere commiserato, se non colui che della commiserazione fa uno stile di vita tale da intrappolare chi lo circonda.
La paura di parlare della propria fragilità spesso è motivata dalla paura di non essere creduti. Adolescenti che vivono la propria fragilità all’insaputa dei genitori, perché non sono in simmetria con le loro aspettative, e pertanto non si sentono accettati, amati così come sono. Uomini e donne, mariti e mogli che mascherano reciprocamente la propria fragilità per paura di rimanere soli (ma lo si è già), per mancanza di fiducia, per incapacità di ascolto e così via.
Spesso la fragilità nascosta, contraddistinta da forti emozioni come il senso di abbandono, la frustrazione, ecc., esplode in modo improprio, con violenza verbale e, delle volte, fisica.
Parlando della propria fragilità si corre il rischio di essere considerati privi di personalità, debole e di poco conto. È la persona forte, dal carattere apparentemente prestigioso che va di moda. La fragilità non è considerata una forza, bensì una debolezza.
Il termine fragilità ha la stessa radice di frangere, che significa rompere. Ricorda la fragilità di un vetro di Murano, bello ed elegante, ma basta poco perché si frantumi e si trasformi in frammenti inservibili. Fragile significa anche delicato, gracile. Come un fiore, basta un colpo di vento e un petalo si stacca e perde il suo profumo, divelto dalla sua funzione, muore. Il contrario di fragile è resistente, indistruttibile, a prova di bomba. Si pensi agli oggetti di acciaio, alle rocce di una montagna.
Ho dedicato oltre 25 anni ad ascoltare la sofferenza, il dolore. Uomini e donne, giovani e meno giovani, ancora oggi, mi parlano della loro fragilità fisica, esistenziale, spirituale, relazionale e affettiva. Chi non porta con sé la sua piccola o grande “emorragia” che procura vergogna, che erode a poco a poco e ci impedisce di vivere serenamente?
“Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi darò riposo” (Matteo 11:28). “Vedendo le folle, ne ebbe compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore” (Matteo 9:36).
Dio “vorrebbe che noi capissimo la tenerezza e l’intensità con cui ci cerca. Egli ci invita ad affidare i nostri conflitti alla sua comprensione, le nostre sofferenze al suo amore, le nostre ferite alla sua capacità di guarire, la nostra debolezza alla sua forza, il nostro vuoto alla sua pienezza. Egli non ha mai deluso chi si è affidato a lui (E.G.White).