Skip to content Skip to footer

Pensaci. La preghiera di Mosè

Francesco Zenzale
Il testo originale ebraico di Esodo 32:7-35 contiene, nel verso 32, una verità meravigliosa riguardo alla salvezza. La parola tradotta “perdona” viene da un termine ebraico abbastanza comune nella Bibbia (nasa) che significa “portare” o “trasportare”. Isaia, parlando specificamente della morte del Cristo sulla croce, usa per due volte questo stesso verbo: “Tuttavia erano le nostre malattie che egli portava (nasa)… egli ha portato (nasa) i peccati di molti” (Isaia 53:4,12).
Nella famosa preghiera di Mosè, il profeta sta dicendo al Signore: “Nondimeno, se tu porterai i loro peccati…”. Mosè, comprendendo il piano della salvezza e il significato della croce del Cristo, chiese a Dio di portare egli stesso i peccati del suo popolo. Sì! C’è una chiara comprensione del Vangelo! Qui, molti secoli prima della croce, ancora prima che il santuario fosse costruito, viene data una chiara rappresentazione del principio della sostituzione, in cui Dio stesso paga la pena per i peccati delle sue creature. Molti commentatori biblici hanno visto Mosè, in questo contesto, come un tipo, un simbolo del Cristo quale nostro intercessore (cfr. Romani 8:34; Ebrei 7:25). Quando Mosè scese dalla montagna, dopo avere interceduto per Israele, il suo volto splendeva: “La luce divina era il simbolo della solennità della grazia di cui Mosè era lo strumento umano, come rappresentante dell’unico e vero mediatore fra Dio e l’uomo, il Cristo”, scrive E. G. White commentando questo testo. Pensa a cosa significa il fatto che Dio stesso, nella persona di Gesù Cristo, abbia portato la pena dei nostri peccati! Che cosa indica questo fatto sull’inutilità di salvarci da noi stessi? Se fosse possibile salvarci da noi stessi, perché il Cristo avrebbe dovuto morire per noi? Perché questa grande verità di Dio che porta i nostri peccati dovrebbe renderci più umili? Perché dovrebbe trasformare la nostra vita e renderci ubbidienti?